ANTONIO
FORCELLINO, LA PIETÁ PERDUTA - Storia di un capolavoro ritrovato di
Michelangelo Rizzoli, Milano 2010
Un lavoro di notevole impegno e di alta responsabilità questo di
Antonio Forcellino, tipico di chi in qualità di restauratore di
opere d'arte deve nutrire una fede incrollabile e un amore esclusivo
per il proprio mestiere, oltre che mostrare fedeltà, perizia e vastità
di cultura. Egli infatti alla sua specifica professionalità unisce
necessariamente quella di profondo conoscitore di storia della'arte,
animato quindi all'occorrenza, come avviene nella vicenda considerata,
da propositi seri e tenaci per arrivare ad appurare la veridicità
e l'attendibilità di alcuni fatti artistici. Perciò non fa meraviglia
se l'A. (senza pretendere di invadere l'altrui campo, ma solo per
amore di un'opera d'arte e del suo fattore, in questo caso di Michelangelo)
solleva una vexata quaestio - si direbbe spinosa anche - e con tutta
la naturalezza del suo garbo connesso all'esercizio della sua professione.
Sembra che non voglia far pesare la sua autorevolezza nel raccontare
una vicenda a dir poco sbalorditiva, inerente a un dipinto del Buonarroti,
una Pietà appunto, già appartenuta a Vittoria Colonna quale "dono
privato" (p. 39) dell' amico e maestro, ma che il Vasari nelle Vite
(sia nella prima che nella seconda edizione) fece passare erroneamente
(o indelicatamente nei confronti di Vittoria?) per un semplice disegno
(cfr: p. 40).Sembra
anche che l'A. non voglia entrare in polemica col mondo accademico,
pur sottolineando e deplorando "quei meccanismi dello specialismo
disciplinare che molto spesso negano, invece di favorire, l'ampliamento
delle conoscenze" (p. 11) e che voglia agire con tutta la discrezione
possibile e il rispetto dell'autorità costituita, entrando in punta
di piedi nel seminato altrui. Tuttavia, preso dall'"emozione", animato
dalla "passione", fidando persino nella "casualità", menzionate
nell' introduzione (p. 10), nel corso della narrazione, rotto gli
argini della sua indignazione, non sa astenersi dallo stigmatizzare
"il pregiudizio e l'autoritarismo senza appello della corporazione
accademica internazionale" (p. 217).
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E bene
ha fatto, secondo noi, proseguendo con fermezza e determinazione
nel perseguire il suo intento ad opporsi alla supponenza dei cattedratici,
che spesso mostrano una inveterata presunzione di sapere e di veder
tutto, quali depositari di verità indiscutibili, irrefutabili, incontestabili,
col la sicumera tipica di chi s'impanca, esercitando un potere assoluto,
presuntuosamente illuminato. Si chiama "libera docenza", la loro,
ma si dovrebbe definire altrimenti quella esercitata da professoroni,
spesso ostinati amatori delle proprie idee, dei propri convincimenti,
della propria scienza, senza la minima ombra di umiltà. A questo
punto sembra opportuno e doveroso ricordare il clamoroso e scandaloso
fatto del supposto ritrovamento di alcune sculture (teste) attribuite
a Modigliani, fatto che il nostro Autore sfiora appena, apparentemente
senza un vena di polemica (forse per un recondito senso di colpa
inconfessabile per l'appartenenza al ruolo), laddove a p. 95 osserva
semplicemente: "La soggettività del giudizio è tale e talmente dimostrata
dai tanti episodi attributivi - che hanno portato per esempio ad
assegnare a Modigliani dei sassi scavati con Black & Decker - che
non potevo confermare un'attribuzione a Michelangelo sulla base
della pittura". Però noi vorremmo sottolineare l'ingenuità dei dotti
che non seppero indicare come falsi quei "sassi scavati", offerti
provocatoriamente per gioco alla loro (in)competenza di esperti
da un gruppo di giovani scanzonati e seri nello stesso tempo; e
solo per carità di patria preferiamo che restino innominati i professori
tratti in inganno; ma non siamo disposti a rinunciare all'occasione
per dichiarare l'enormità dell'accaduto, in quanto simili casi non
si dovrebbero ripetere. E tuttavia talora succede che dei falsi
possono sembrare più autentici degli originali, tanto che gli stessi
autori talvolta non ne sanno decidere l'autenticità o meno. Pertanto,
volendo restare sul piano della sana polemica, che non ci sembra
affatto fuori luogo, ricordiamo la curiosa vicenda giudiziaria,
vissuta e raccontata da un eminente principe del foro con la congenialità
della sua verve. Si tratta di una sentenza passata in giudicato,
secondo cui alcuni falsi veri, dichiarati tali dall'interessato
alla lite (parte lesa, s'intende), furono ritenuti originali e autentici,
grazie alla testimonianza di un esperto, allo scopo interpellato
dal tribunale, mediante una perizia giurata. Riteniamo che non ci
sia bisogno di aggiungere altro a questo punto, ma questo sia detto
a sostegno e conforto del ricercatore, il quale merita la nostra
stima per la sua onestà intellettuale, avendo posto, sia pure involontariamente,
la questione relativa alle varie difficoltà di attribuzione delle
opere d' arte, e inoltre per l'acribia con cui ha condotto fino
in fondo la sua indagine sul filo della scommessa e forse anche
di un sottile gioco d' intelligenza.
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Comunque noi qui non intendiamo celebrare
il trionfo di un'azione di rivalsa, che non starebbe a cuore nemmeno
all'A., bensì il trionfo di una ricerca scrupolosissima, metodologicamente
valida e narrata in modo chiaro ed esaustivo, quale Storia di un
capolavoro ritrovato di Michelangelo, in cui "capolavoro ritrovato"
non sta a significare 'ritrovamento' di un'opera smarrita o perduta
per cause dovute all'incuria, alla disonestà o al vandalismo. Si
tratta di un capolavoro cui era stata negata perentoriamente l'autenticità
e l' originalità in virtù di un pervicace rifiuto di appurare la
veridicità dei fatti storici e degli elementi costitutivi dell'opera
in sé o di altre opere: dipinti, disegni e riproduzioni varie in
relazione tra loro. Talvolta il rifiuto era stato determinato persino
dalla superficialità di chi solo per sufficienza non volle prenderla
in considerazione: a pag. 217 si legge lo scoramento del possessore
dell' opera, un certo Martin Kober, pilota di jet militari passato
poi all' aviazione civile americana: "E ci sono fior di studiosi
che non hanno voluto neppure vedere il quadro, tanto erano convinti
che non potesse esistere!" Non ci sembra opportuno riassumere i
momenti salienti di una "storia" singolare per l'opera in sé, il
capolavoro ritrovato, e le implicazioni storico-culturali che la
coronano; storia anche più che interessante scientificamente e tecnicamente
parlando: infatti non vogliamo privare il lettore di un piacere
in fieri, cioè progressivo nel constatare momento dopo momento il
processo di una scoperta eseguita all'insegna della sorpresa continua,
in cui l'A. sa coinvolgere via via con la semplicità e la facilità
espressiva del narratore consumato, alla Dan Brown, come del resto
osserva Lorenza, una compagna di studi, apprezzata collega di professione
e preziosa collaboratrice nella quasi ultima fase della scoperta
narrata, che, vedendolo ancora perplesso, gli chiede: "Antonio,
ma che hai? Non sei felice? Avevi ragione, è Michelangelo, è la
scoperta più sensazionale mai fatta nella Storia dell'arte, e poi
con quella storia, Ragusa (in Dalmazia, l'attuale Dubrovnik ndr),
gli Spirituali, l'Inquisizione. Sembra inventata da Dan Brown",
pp. 215-216. Una storia sensazionale sul piano scientifico, una
conquista dunque; ma per noi una storia avvincente per come ci viene
presentata, nella maniera più incredibile possibile, tanto che il
lettore non potrà fare a meno di chiedersi alla fine: È una storia
vera, verosimile o una finzione? |
Onofrio Annese, già Dirigente scolastico in alcuni licei di Roma e poeta satirico.
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