FLAVIO CAROLI, STORIA DELLA FISIOGNOMICA – ARTE E PSICOLOGIA
DA LEONARDO A FREUD -
MONDADORI ELECTA – MILANO 2012 - € 19,90
Di ogni libro nuovo si può dire (per usare un luogo comune)
di tutto e di più, e lo stesso autore, che narcisisticamente
si presenta con quest’ultimo lavoro della serie I libri di
Flavio Caroli, ce lo conferma. Non contento della prima edizione
del 1995 infatti, si è cimentato a tal punto da fornirci
quel di più, però in senso migliorativo, regalandoci
(si fa per dire) un libro dallo stesso titolo: Storia della Fisiognomica,
appunto, con il sottotitolo Arte e Psicologia da Leonardo a Freud.
Sembrerebbe un duplicato, sia pure riveduto e corretto (ma non troppo!),
tra la copiosa materia da lui specialisticamente trattata, in diversi
momenti e con tagli più o meno monografici, come si apprende
dalla IV di copertina e dalla nutrita bibliografia. Certo non è
vietato rivedere e correggere la propria opera per successive edizioni.
Ma non sarebbe meglio licenziare alle stampe un’opera solo
quando si è certi o quasi della sua completezza, non dico
perfezione, lasciando magari ad altri la possibilità di dire
la propria su un determinato argomento? Senza monopolizzare spazio
e competenza. Inoltre credo che, rallentando il ritmo della produzione,
verrebbe garantita la correttezza formale e stilistica ed evitata
la noia del ripetersi.
Ho osato dire provocatoriamente “duplicato”, usando
tuttavia il condizionale, perché così mi era parso
lecito pensare; ma, leggendo questa Storia nella seconda edizione,
ho avuto modo di ricredermi e ho apprezzato la consistenza dei nuovi
contenuti, l’arricchimento documentale di carattere teorico
e artistico, nonché la profondità speculativa e la
forza argomentativa, il tutto suffragato dalle numerose note con
frequenti richiami o rinvii alle precedenti riflessioni dell’autore,
alla fine di ogni capitolo.
L’opera si sviluppa in cinque capitoli lungo l’asse
temporale che abbraccia i secc. XVI, XVII, XVIII, XIX, XX ed è
caratterizzata da frequenti parziali anticipazioni (prolessi) e
quindi rinvii ad altri momenti cronologicamente pertinenti, oppure
da ritorni al passato (analessi): questo permette all’autore
stilisticamente di formulare ulteriori riflessioni in forma parentetica,
che farebbero perdere il filo del discorso a un lettore disattento,
compromettendo l’immediata comprensione del testo: pertanto
non ci si attenda una facile e scorrevole lettura. Ma non è,
questo, un difetto, tutt’altro: infatti una tale scrittura
sta a testimoniare il notevole spessore culturale dell’A.
e la capacità di dominare una materia vasta e complessa,
che comprende molteplici discipline: la Fisiognomica, la Patognomica,
la Fisiologia, la Frenologia, la Psicologia, la Psichiatria, la
Psicoanalisi e l’Antropologia, tutte scienze a cui si sposa
l’Arte in generale, quella figurativa e letteraria in particolare.
Un’altra caratteristica sul piano stilistico è la discorsività
e la confidenzialità del linguaggio, molto vicino al parlato
in alcuni passaggi, tesi a moderare il rigore logico della trattazione
di argomenti che richiedono spesso l’uso del confronto tra
gli autori e l’invito al lettore a prendere visione diretta
del copioso materiale iconografico o a leggere frequenti citazioni
infratestuali e nell’ambito delle numerose e fittissime note.
Ma ciò che importa fondamentalmente del testo in esame è
la novità dell’approccio a una tematica sui generis
particolarmente interessante, offerta dalla convergenza e dall’intreccio
della scienza del Profondo e dell’arte del Profondo, come
l’A. con molta originalità ci indica sinteticamente
mediante un diagramma storico (ved. p. 12), chiarendo che le due
componenti si presentano parallele nel Cinquecento, divergenti nel
Seicento, di nuovo verso una convergenza nel Settecento, precipitando
quindi in un groviglio nell’Ottocento, che fa impazzire le
menti, degli artisti s’intende, rendendo più fecondo
e accanito lo studio e l’approfondimento delle varie questioni,
per sciogliersi infine nel Novecento in una linearità combaciante,
che segna la fine definitiva dei due campi (psicologico-psicoanalitico
e artistico).
“Da questo momento”, avverte l’A. a p. 15 “Arte
e Psicoanalisi, coscienza critica del Profondo sul versante creativo
e su quello scientifico, convivono, in un intreccio talmente fitto
da poter essere identificato con una sola linea continua.”
Questo comunque è un punto su cui ciascuno di noi potrà
esercitare la propria riflessione con piena autonomia di giudizio
e speculativa. Ma ora vediamo, sia pure a volo di uccello, come
si muove l’A. nel raccontarci la storia della fisiognomica,
nella nuova veste editoriale.
Dopo alcune righe illustrative e riassuntive della materia (pp.
9 - 15), che meglio figurerebbero come INTRODUZIONE a tutta l’opera,
con il CAPITOLO PRIMO viene preso in considerazione IL CINQUECENTO.
Partendo da Leonardo, di cui cita un passo significativo tratto
dal TRATTATO DELLA PITTURA, l’A. osserva giustamente a p.
16: “Se innumerevoli cultori di fisiognomica a venire (sic!)
avessero letto, e meditato, tali idee, avrebbero risparmiato le
lunghissime, ripetitive, deterministiche litanie di segni corporei
che segnano almeno quattro secoli di vita della disciplina; e che
ne hanno sancito la scarsa credibilità, e nulla scientificità,
agli occhi del Razionalismo moderno.” Sono ricordate via via
le opere dei principali trattatisti di Fisiognomica con i frontespizi
e insieme riportate alcune opere figurative degli artisti del sec.
XVI (Cocles, Leonardo da Vinci, Giorgione, L. Lotto, G. G. Savoldo,
A. Dürer, Michelangelo, Pontorno, Tiziano, S. Anguissola, Caravaggio,
G. B. Moroni, G. Ferrari); per poi far culminare la serie dei vari
protagonisti con il più famoso trattatista napoletano G.
B. Della Porta, del quale sono evidenziate alcune tra le più
celebri figure zoomorfiche. Quindi così conclude l’A.
a p. 74: “Il secolo d’oro dell’albeggiante simbiosi
fra arte del Profondo e scienza del Profondo si chiude con un inevitabile
retaggio di cultura proto-umanistica e con infinite curiosità
verso quella che sarà la scienza sperimentale, o almeno verso
il metodo razionalistico che porterà alla scienza sperimentale.” Continua
l’avventura narrativa attraverso gli altri quattro secoli
nello scandagliare il regno dei “moti dell’animo”,
lungo il filone di svolgimento dello studio della psiche, del pensiero
filosofico e scientifico, che si intreccia con il mondo dell’arte,
ora divergendo come nel Seicento, ora convergendo, per poi complicarsi
rispettivamente nel Settecento e Ottocento, fino a perdere di autonomia
in modo indifferenziato nel Novecento.
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Nel Seicento, per la Fisiognomica e l’analisi del soggetto
umano, spiccano le figure di Bacone, Cartesio, Pascal, La Rochefoucauld,
Tyron, con accanto il più famoso pittore e teorico della
scienza del profondo Ch. Le Brun, seguito dai pittori Rubens, Rembrandt,
Reni, Velázquez, Bernini. Nel Settecento con tendenza alla
convergenza delle due componenti, tra i teorici e filosofi sul piano
psicologico si annoverano Leibniz, Willis, Berkeley, Hume, Lavater,
cui si aggrega la figura più vivace degli artisti teorici,
Hogarth, molto legato agli scrittori e attori dell’epoca,
sostenitori delle sue idee (es. Defoe, Swift, Smollet, Fielding),
per non parlare degli artisti Fra Galgario, Watteau, Bazzani, Tiepolo,
Messerschmidt, Füssli, Blake, Goya. All’inizio del cap.
V, per l’Ottocento, l’A. osserva a p. 181: “Nel
passaggio fra l’Illuminismo e il Positivismo, ...la Fisiognomica
simbolica di Lavater e la Patognomica... di Lichtenberg, si evolvono
rispettivamente in Frenologia e Mimica.” Dopo la fase esplosiva
e della simbiosi durante il Romanticismo, le due componenti, “ideologia
artistica e psicologia si attraversano senza soste, e la Fisiognomica
ha fortuna vastissima.” Trionfa la follia nelle opere di Géricault
e nei personaggi dei romanzi di Balzac; concorre egregiamente a
questa visione del diverso con i suoi disegni G. F. M. Gabriel in
collaborazione con il medico Esquirol, allievo del filantropo Pinel,
cui seguono J.-L. David con i suoi Studi di fisiognomica e L. L.
Boilly, nonché G. Courbet con La Sonnambula. Gli artisti
indicati operano quindi in stretta collaborazione o sotto l’influenza
degli studiosi e teorici dei comportamenti umani in base a una Psicologia,
che diventa Psichiatria con F. G. Gall, padre della Frenologia,
gli allievi A. David, A. Ysabeau, J. C. Spurzheim e i fratelli Powel,
che in America sfruttano egregiamente la scienza della Frenologia,
traendo largo profitto dalle certificazioni rilasciate sui diversi
caratteri, ad uso e consumo degli imprenditori e datori di lavoro,
divenuti eccessivamente cauti nelle assunzioni.
Sulla scena compare la figura di Ch. Darwin, l’autore della
teoria dell’Evoluzionismo, che qui interessa come elaboratore
della teoria delle espressioni; quale suo più rispettabile
allievo viene ricordato P. Mantegazza. Si arriva alla Criminologia,
passando per la scienza fisiognomica; e in quest’area, in
cui Psicologia, Psichiatria e Neurologia si contendono il campo,
militano per così dire figure artistiche alquanto fragili
psichicamente, quali P. Richter, E. Degas, V. Van Gogh, E. Munch,
D. Fetti, Grechetto, H. de Toulouse-Lautrec, O. Redon, G.-B.-A.
Duchenne de Boulogne, Ch. Philipon, H. Daumier, Grandville.
Terminata la disamina accurata e puntuale di una fenomenologia antropologica
a dir poco intricata e complessa, i cui limiti non sono mai definibili,
trattandosi di psiche e corpo, spirito e materia, l’A., di
fronte all’esplosione deterministica di Cesare Lombroso, sembra
avvertire un impulso irrefrenabile che lo fa esclamare in modo ambiguo
trionfalmente a p. 252: “Nella prima metà del Novecento
l’epistemologia ha conosciuto sconvolgimenti che hanno disintegrato
l’idea dell’Uomo e dell’Universo su cui si fondava
il pensiero leonardesco.”
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E per concludere la narrazione del
suo “lungo viaggio nel volto e nel cuore dell’uomo”
egli non trova un esempio più emblematico di quello offertogli
da F. Bacon con lo Studio di figura umana ai piedi della croce II
(1945 – 1946), in cui osserva amaramente a p. 253: “Ma
l’Uomo, lui, è assente. La gloriosa scienza fisiognomica
ha perso il suo oggetto e il suo protagonista. Il cavaliere occidentale
se n’è andato, non c’è più.” Non saprei con quale animo, se contrariato
e sconsolato o sollevato, Flavio Caroli licenzia quest’ultima
sua fatica; ma io credo di capire le sue intenzioni di voler perseguire
altri traguardi nel mondo affascinante della psiche, sollecitato
dalle conquiste di Freud, Jung, Lacan; tuttavia penso che nel prosieguo
delle sue ricerche farebbe bene a sperare in una rinascita dell’Uomo
e dell’arte in generale (come mi è parso di intuire
dalle sue simpatie per Leonardo), in un nuovo Umanesimo e Rinascimento
dello spirito e quindi dell' arte, che non è “morta”
(né può morire come la Storia del resto, se non con
l’uomo, che fa la Storia), come vorrebbe una errata e arbitraria
interpretazione dell’affermazione hegeliana.
Il Nostro dunque farebbe bene a vedere in positivo l’evoluzione
storica, giunta secondo il diagramma da lui ipotizzato a una linearità,
laddove “Arte e Psicoanalisi, coscienza critica del Profondo
sul versante creativo e su quello scientifico, convivono”,
riconciliandosi non solo lui, ma anche i cultori e storici dell’arte,
con la dottrina dell’idealista Hegel, per il quale l’Estetica
è filosofia dell’arte e che a conclusione delle sue
lezioni afferma rivolgendosi ai suoi allievi: “mi auguro ...
che si sia creato un nesso più elevato e indistruttibile,
ossia quello dell’idea del bello e del vero” (cfr. Hegel,
Estetica a cura di F. Valagussa – Bompiani - Milano, 2012,
p. 2913).
Ovviamente, per compiere quest’atto, senz’altro coraggioso,
di umiltà e di riavvicinamento all’idealismo, occorrerebbe
soprattutto condividere l’atteggiamento di diffidenza e di
rifiuto, se non della Fisiognomica, almeno della Patognomica e della
Frenologia da parte del grande filosofo, che a pp. 1769 –
1771 dell’Estetica sostiene categoricamente: “Ogni uomo,
a questo riguardo, in generale deve essere considerato in base a
due prospettive, quella meramente fisica e quella dell’espressione
spirituale. Dobbiamo, però, senza dubbio, evitare di procedere
alla maniera di Gall, che rende lo spirito un mero problema di localizzazione
cranica.”
Per concludere, non posso passare sotto silenzio la serie della
documentazione iconografica significativa ed emblematica offertaci
da Flavio Caroli nell’ultimo capitolo dedicato al Novecento:
ecco dunque l’Autoritratto di L. Meidner, l’Autoritratto
di A. Artaud, Giuditta di G. Klimt, Cavaliere occidentale di C.
Carrà, Ritratto di Max Hermann di G. Grosz, Vestizione della
sposa di M. Ernst, Pali blu e Portrait and dream di J. Pollock,
Woman V di W. De Kooning, Testa d’ostaggio di J. Fautrier,
Il fantasma azzurro di Wols, Papa III di F. Bacon, Ritratto di papa
Innocenzo X di Th. Géricault, Ritratto di papa Innocenzo
X di Velázquez, infra; e in fine, oltre le note: Il Generale
di A. Rainer, Studi per ologrammi: labbra tirate di B. Baumann,
Der Abgarkopf di G. Baselitz.
A questo punto, però, mi preme sottolineare l’atteggiamento
circospetto e critico, anche se a malincuore, di Flavio Caroli nei
confronti della Fisiognomica e di tutte le aberrazioni che l’hanno
accompagnata attraverso i secoli considerati; egli infatti prende
atto di una realtà diversa e ammette molto razionalmente
a p. 253: “Prima del 1950, sono verità acquisite: 1)
la teoria della relatività ... 2) l’equivalenza materia-energia
... 3) la possibilità di distruzioni termonucleari ... 4)
vertiginose idee sulla configurazione dell’Universo”,
memore anche di quanto sostiene amaramente a pp. 248 – 250
dicendo: “L’archeologo del 3000 che, dopo la grande
catastrofe, reperisse solo questi due dipinti con le rispettive
date (si riferisce al Ritratto di papa Innocenzo X di Velázquez
e a Papa III di F. Bacon), sarebbe legittimato a supporre tragedie
e torture antropologiche le più terribili. Sorprende sempre
un po’ accorgersi che non si tratta di retorica, ma che le
cose sono andate esattamente così: dal sacco di Roma con
la fine dei grandi ideali, alla Colonna infame, ad Auswitz, alle
teste mozzate che abbiamo visto fotografate nel corso di quest’anno,
1994, in una delle tante guerre che proseguono nel mondo...”.
E mi sembra inutile aggiungere quanto già si sa del terrorismo
odierno e delle famigerate missioni di pace: sì, perché
è una pura illusione (per non dire folle pretesa assurda)
voler imporre a ogni stato o popolo e, paradossalmente, ad ogni
famiglia, la cosiddetta democrazia occidentale, per garantire universalmente
pace, serenità e prosperità, con un solo modus vivendi
valido per tutti. Dove sarebbero la libertà, il rispetto
dell’individuo, l’intangibilità della persona,
principî tanto conclamati retoricamente da una élite
populista, ma sempre disattesi?
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OSSERVAZIONI E SUGGERIMENTI PER
L'AUTORE
L'opera è bella e più che interessante, tuttavia
meriterebbe di essere emendata, per la presenza di diversi refusi tipografici
(specialmente nella prima metà del libro) e di vezzi stilistici, a mio
parere, non sempre appropriati alla severità della materia e delle discipline
che la sorreggono.
Onofrio Annese, già Dirigente
scolastico in alcuni licei di Roma e poeta satirico.
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