G. REALE – U. VERONESI, RESPONSABILITÀ DELLA VITA –
Un confronto fra un credente e un non credente - Bompiani, Milano
2013, € 13,00
"NESSUNO PUŅ DECIDERE SULLA VITA DI UN UOMO, E MENO CHE MAI PUŅ DECIDERE LO STATO, PER LEGGE. L'AUTODECISIONE, PER QUANTO RIGUARDA LA VITA, Č IRRINUNCIABILE."
Così si legge sulla quarta di copertina di questo libro,
scritto da due eminenti rappresentanti del mondo filosofico e scientifico:
GIOVANNI REALE e UMBERTO VERONESI, rispettivamente credente e non
credente.
Quello che colpisce subito, nella lettura del primo capitolo - Una
legge assurda da evitare - è l’equilibrio eccezionale
degli Autori, tipico di una rara saggezza umana, che richiama il
concetto di Assoluto, inteso in un modo singolare e paradossalmente
individuale da TZVETAN TODOROV, il quale in un suo libro osserva:
“L’aspirazione alla pienezza e alla realizzazione interiore
è presente in ogni essere umano, fin dai tempi più
antichi” (cfr. p. 9, in La bellezza salverà il mondo,
Garzanti, Milano 2010). I due Autori ci impartiscono una lezione
di vita comportamentale, smettendo provvisoriamente l’abito
del credente l’uno, del non credente l’altro, per affrontare,
senza pregiudizi, temi di grande momento e principalmente quello
della responsabilità della vita di tutti, sacra e inviolabile,
la cui autodecisione in situazioni estreme è irrinunciabile,
appunto. La tentazione di interporre o addirittura opporre il mio
giudizio sulla questione di fondo a quello dello studioso e dello
scienziato è forte, anzi fortissima, però disarmata,
in quanto, come qualsiasi lettore di media cultura, difficilmente
posso competere con la scienza, la conoscenza e la coscienza di
ciascuno di loro, per cui sono illustri a livello mondiale. Infatti
le citazioni frequenti, ma opportunamente calibrate (citazioni dei
massimi autori di tutti i tempi), a conforto delle rispettive tesi,
danno l’esatta dimensione e profondità del loro pensiero:
il filosofo, studioso e teorico, si affida più facilmente,
per esempio all’autorità di Platone, considerato a
ragione attualissimo; lo scienziato medico, un buon medico nel senso
pieno del termine, trae dalla riflessione e dall’esperienza
le sue risposte. Essi si muovono, nell’ambito delle rispettive
competenze, con disinvoltura e naturalezza, e soprattutto esprimono
il proprio pensiero con semplicità e chiarezza.
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In
ognuno dei nove capitoli si ha l’impressione di assistere
come a un match o, meglio, a una partita di ping-pong, la cui battuta
(o servizio) viene eseguita costantemente dal pensatore, che si
distingue per garbo, scioltezza e precisione, senza la minima idea
di prevaricare, bensì di servire signorilmente la palla al
competitor, tanto è vero che non tralascia mai di rivolgersi
a lui con la forma di cortesia: “Lei, professore, che cosa
ne pensa?”; cui, di rimando, vengono rese con lo stesso fair
play puntualmente le risposte con le relative concordanze o discordanze
(poche per la verità), improntate al senso della misura,
senza la sicumera dello scienziato privo di sensibilità umana,
di quella sensibilità che deve guidare sempre il medico nell’approcciarsi
al malato, ossia alla persona bisognosa di cure psichiche, prima
che fisiche. Ciò che suscita ammirazione e meraviglia in
questo confronto, sereno e coinvolgente, è la perfetta concordanza
dei due nel riconoscere la necessità di considerare il paziente
nella sua globalità e interezza, in qualità di portatore
di diritti irrinunciabili alla vita come alla morte, salvaguardando
la sua dignità psicofisica e l’autonomia decisionale.
Responsabilità della vita, dunque, che non riguarda soltanto
il singolo individuo per quanto attiene alla salute, ma anche e
soprattutto all’intera collettività, ivi compreso chi
deve curare e possibilmente guarire e chi esercita il potere politico,
mediante il quale la deve tutelare, senza tuttavia coartare la volontà
individuale in casi estremi.
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I temi su cui si dibatte in questo libro,
che meriterebbe una larga diffusione tra tutti gli strati sociali,
non solo in territorio nazionale ma ache mondiale, sono i capisaldi
di una vita sana, basata sulla misura quantiqualitativa, di una
società più giusta e più sensibile alle necessità
generali. Infatti il confronto si svolge progressivamente a partire
sia dal potere legislativo, che non deve oltrepassare certi limiti
o interferire nella sfera individuale (cap. I. Una legge assurda
da evitare), sia dalla scienza e tecnica, dei cui ritrovati non
si deve abusare (cap. II. L’attuale predominio della mentalità
scientistico-tecnicistica). Si prosegue quindi con la riflessione
sul significato della morte (cap. III. La morte e il suo vero significato
oggi smarrito), sull’importanza di mantenersi sani moralmente,
spiritualmente e fisicamente (cap. IV. Il grande mistero della salute),
sulla delicata funzione di chi deve curare e garantire la guarigione
nei limiti del possibile (cap. V. Il medico e la medicina). Si passa
poi alla considerazione di due casi emblematici specifici di ammalati
in condizioni estreme (cap. VI. Il caso Welby e il suo significato
e cap. VII. Il caso di Eluana e il suo significato). Gli ultimi
due capitoli vertono sulla necessità di dare rilevanza e
preminenza alla cura dell’anima, senza la quale, come sostiene
Platone, fallirebbe la cura di qualsiasi parte del corpo (cap. VIII.
Curare l’anima per curare il corpo) e conseguentemente sull’importanza
di prendere coscienza delle opportune regole di vita, per poter
compiere bene“il mestiere di uomo”, come sosteneva l’imperatore
romano Marco Aurelio (cap. IX. Il mestiere del vivere e la difficile
arte della vita). E infine quale luogo più opportuno e migliore
occasione della pubblicazione di questo libro, per affrontare la
questione della fame nel mondo? In Appendice (p. 215) troviamo una
proposta del prof. Umberto Veronesi, dal titolo significativo provocatorio:
Sfamare gli affamati. È solo una provocazione – è
vero – ma anche una più che consapevole illusione di
poter intervenire sulle coscienze di tutto l’orbe terraqueo,
al fine di indurre ciascuno a sentirsi parte di una comunità
globale, che per sopravvivere dovrebbe cambiare mentalità,
stili di vita e abitudini alimentari, abbandonando definitivamente
gli egoismi individuali e universali, ma soprattutto l’idea
di garantire pace, giustizia e libertà con l’uso delle
armi. Utopia, quindi, ma non per questo si deve rinunciare a lavorare
per la pace, ossia per la salvaguardia delle prerogative irrinunciabili,
che stanno alla base della vita. È uno scandalo la fame nel
mondo, sapendo che l’Occidente si abbuffa e spreca enormi
risorse, solo per alimentare animali da macello, per alimentare
“quella parte di mondo che soffre per eccesso di cibo”
(p. 260), mentre un miliardo di esseri umani è destinato
a morire per denutrizione e malnutrizione. Non c’è
rimedio per questo? Ma sì, U. Veronesi, accogliendo il messaggio
di G. Reale sulla necessità di “uscire dal malessere
della fame fisica e da quello della fame spirituale” (p. 255),
lancia un appello implicitamente ottimistico e conclude (p. 262):
“credo che il senso della responsabilità della propria
vita non possa prescindere dal senso di solidarietà e corresponsabilità
per la vita degli altri.”
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Onofrio Annese, già Dirigente
scolastico in alcuni licei di Roma e poeta satirico.
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