Crogiolo di emozioni e di memorie distillate
di eventi, le opere di Kokocinski si
riempiono di visioni da cui non sono esclusi gli aspetti dell’orripilante
e del macabro, mentre spazio e tempo figurativi rimandano alle strutture
dell’immaginario. L’artista prende le distanze dalla
descrizione del vero oggettivo, anche se il contenuto profondo del
suo messaggio è frutto dell’esperienza tragica della
storia personale e collettiva: eliminando ogni dato superfluo, egli
sintetizza la forma, riduce al massimo gli elementi del paesaggio,
accentua i cromatismi violenti e antinaturalistici, accendendo di
luminismi intensi un tessuto tonale fortemente materico. Egli intende
esplorare gli abissi più inconfessati dell’animo, dove
si annidano le forze distruttive della violenza e dell’intolleranza:
acume visionario e un tratto sismico sono i caratteri costitutivi
del suo stile.
Artista talentuoso, spirito nomade, un esule perenne che porta con
sé, ovunque vada, le sue inquietudini e le sue speranze,
Kokocinski è pervaso di un’energia creativa inconsueta.
Il tema della guerra e della morte, da lui sperimentate negli eventi
di una vita errabonda, lo segue inevitabilmente, a cui si lega il
rifiuto dell’ingiustizia e della violenza. Nella pace e nel
silenzio del suo singolare studio a Tuscania, nel viterbese, un
vecchio teatro dismesso, egli insegue i suoi fantasmi che si materializzano
nelle immagini angosciose di tutte le coscienze ferite, o nelle
sculture che sembrano “non finite”, lacerate nel corpo
e nello spirito dai segni della sofferenza.
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LClown, il sogno, cm 90 x 59 olio su tavola
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Nascere per vivere la morte cm 240 x 157 tecniche miste su carta
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Nato a Recanati nel 1948, da padre polacco e
madre russa, dopo aver trascorso l’infanzia in Brasile, si
sposta in Argentina dove inizia un periodo di vita nel circo che
molto spesso si rifletterà nelle sue opere per una persistenza
di figure tratte da questo universo nomade di clown dai volti tristi,
di saltimbanchi e di acrobati. Giunto di nuovo a Buenos Aires, inizia
un lavoro come scenografo, ma ben presto è costretto a partire
a causa delle persecuzioni del regime. Giunge a Roma, dove metterà
in campo il suo multiforme talento di artista, trovando accoglimento
tanto da decidere di rimanere nel nostro Paese e di continuare a
produrre senza sosta dipinti, disegni, sculture, sempre apprezzati
dalla critica e dal pubblico, affascinati dal suo linguaggio espressionistico,
talora feroce, sempre ricco di rimandi culturali. Le sue immagini,
quasi fossero consumate dal tempo, colpiscono, turbano, pongono
quesiti, parlano di “cielo e d’inferno”, come
lui stesso afferma, non sono rasserenanti perché, secondo
l’artista la vita è lotta, rinuncia, mistero profondo.
Kokocinki sceglie per le sue opere materiali diversi; quando disegna
preferisce che le sue immagini prendano vita su fogli di pergamene
antiche, quando scolpisce utilizza materiali poveri, come la vetroresina,
e poggia le figure su pannelli di legno o su putrelle di ferro.
Non c’è, dunque, la ricerca di materie nobili, come
a voler dire che l’espressività dell’arte non
dipende dal materiale, ma dalla pregnanza dei concetti e della capacità
realizzativa. Molte opere sembrano incompiute, quasi macerate, tuttavia
dalle linee spezzate e dai colori tenebrosi e surreali si percepiscono
le sue ansie e i suoi aneliti: la pace, la verità, il sacro.
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Serie 2015 .2 cm 23 x 18 tecnica mista su carta
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Serie 2015.6 cm 23 x 18 t.m. su carta
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Alla base di questo mondo di immagini originali e personalissime si intravede una grande cultura: Durer, i Maestri del Seicento, alcune esperienze riferibili all'Avanguardia tedesca, evocazioni dall'arte russa, ma soprattutto, a mio avviso, il mondo tragico e allucinato delle pitture "nere" di Goya maturo, nella Quinta del Sordo. Anche il mito è spesso presente, non soltanto nei contenuti, ma soprattutto nel suo versante metaforico, allusivo alle prevaricazioni sui deboli, alla violenza gratuita o al mistero della fine. Tecniche miste e acquerelli propongono problematici personaggi dai volti cancellati e dalle membra sconvolte; donne e fanciulli, ma anche esseri inquietanti, metamorfici, disfatti dalla paura o dall'odio, disegnati accanto a scheletri messaggeri di morte.
Nell' interessantissima mostra romana, curata da Tomoko Asada e Cristian Porretta, che sta per concludersi presso la Galleria d'arte FABER, il mondo visionario di Kokocinski rivela le sue molteplici sfaccettature svelando, per chiunque abbia la sensibilità di mettersi in rapporto empatico con la sua anima, la profonda umanità della sua poetica.
Queste le intense parole del Maestro: "Per rendere culto all'armonia della bellezza, come sostituto al valore divino della mia vita, da perfetto apolide, dove la mia vita è un miracolo e la mia sopravvivenza l'arte." La capacità immaginativa e fantastica di Kokocinski ha la forza di oltrepassare culture, religioni e ideologie diverse, proprio perché essa nasce dalla consapevolezza che l'umanità abbia ossessioni, bisogni e aneliti spirituali comuni e dunque possa prendere, ovunque si trovi a vivere, consapevolezza dei mali che rischiano di distruggerla.
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