Infatti la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n. 9629 del
13 giugno 2012, dopo un’approfondita ricostruzione della procedura,
ha affermato: “(…) Per quanto riguarda gli edifici,
l'attribuzione della rendita avviene dunque attraverso una procedura
che conduce ad individuare il valore di ogni unità immobiliare
e la relativa rendita.
Tale procedura, quando si discorre (come nel caso di specie) di
unità abitative, utilizza strumenti cognitivi predisposti
dalla stessa amministrazione, che delimita le zone censuarie e le
così dette "microzone omogenee" (queste ad opera
dei Comuni in base alla L. 23 dicembre 1996, n. 662, art. 3, comma
154) e poi all'interno di ogni microzona individua, anche sulla
base di istruzioni ministeriali risalenti nel tempo, le categorie
e le classi catastali presenti.
Rileva quindi i valori e le rendite medie proprie dell'area. Questo
insieme di criteri consente infine di attribuire ad ogni unità
catastale una categoria, una classe e quindi una rendita, attraverso
un insieme di operazioni che possono anche essere compiute dal professionista
privato (così come accade nella procedura detta DOFCA).
Il classamento catastale diviene definitivo con la comunicazione
al proprietario interessato, che può ricorrere alla giustizia
tributaria. (…)”.
La Suprema Corte ha concluso confermando un principio giuridico:
“(…) e si ritiene di enunciare il seguente principio
di diritto: "Quando procede all'attribuzione d'ufficio di un
nuovo classamento ad un'unità immobiliare a destinazione
ordinaria, l'Agenzia del Territorio deve specificare se tale mutato
classamento è dovuto a trasformazioni specifiche subite dalla
unità immobiliare in questione; oppure ad una risistemazione
dei parametri relativi alla microzona, in cui si colloca l'unità
immobiliare. Nel primo caso, l'Agenzia deve indicare le trasformazioni
edilizie intervenute. Nel secondo caso, deve indicare l'atto con
cui si è provveduto alla revisione dei parametri relativi
alla microzona, a seguito di significativi e concreti miglioramenti
del contesto urbano; rendendo così possibile la conoscenza
dei presupposti del riclassamento da parte del contribuente (…)”.
In buona sostanza la Corte di Cassazione ha ribadito, ove mai
ve ne fosse stato bisogno, che l’obbligo della motivazione
si estende agli atti catastali, trattandosi di provvedimenti amministrativi;
peraltro tale obbligo di motivazione appare ancor più evidente
trattandosi di provvedimenti di natura valutativa.
Cosa vuol dire in concreto per i tanti contribuenti che hanno
ricevuto l’atto amministrativo? Significa che lo stesso
deve contenere i motivi (e non già formule generiche e/o
prestampate utilizzate erga omnes ….) che hanno portato
al nuovo classamento: se afferenti all’immobile stesso (esempio
un cambio di destinazione d’uso), se riguardanti la micro-zona
(esempio le molte zone delle grandi città riqualificatesi
nel corso del tempo), se sussistono altre circostanze specifiche
idonee a giustificare la modifica.
In caso contrario l’atto in questione potrà essere
impugnato nei termini di legge presso la competente Commissione
Tributaria.