Mattia Preti è un artista barocco, forse meno noto
di altri, ma altrettanto eccellente, autore di capolavori sia in
Italia che a Malta, dove trascorse quasi 40 anni della vita.
Con lo scopo di far conoscere ai più una sua bellissima opera
conservata a pochi chilometri da Roma, siamo andati nella città
di San Martino al Cimino, in provincia di Viterbo, dove si può
vedere un grande stendardo, commissionato all’artista dalla
Confraternita del S.S. Sacramento, in occasione del Giubileo del
1650. Conservato nel piccolo Museo dell'Abate, attiguo alla grandiosa
Abbazia cistercense dedicata al Santo, siamo stati rapiti dalla
bellezza dell’opera che raffigura sul recto l’episodio
di San Martino e il povero e sul verso il Salvator mundi.
Nato come stendardo, fu pagato da Olimpia Maidalchini Pamphilij
(1), la potente e spregiudicata
cognata di Papa Innocenzo X, affinchè potesse sfilare nelle
cerimonie dell’Anno Santo; fu usato nelle processioni per
moltissimo tempo e pertanto venne danneggiato dalle intemperie.
Trasformato in pala d’altare nel 1840, nel 1985 ha subito
un buon restauro. La grande opera mostra in alto due angeli con
lo stemma di Papa Innocenzo X (il papa della berniniana Fontana
dei 4 fiumi e della borrominiana Chiesa di Santa Agnese in Piazza
Navona!) e in basso un angioletto con lo stemma di donna Olimpia,
figure ridipinte nel ‘700.
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La facciata dell'Abbazia cistercense di S. Martino
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L'interno della gotica Abbazia con i suoi giochi
di luce
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La figura del Santo, un soldato romano figlio
di un tribuno, è un’immagine raffinata per il luminismo
morbido della corazza e il tenero volto, immerso in un significativo
colloquio di sguardi con il povero cui dona con spirito di carità
metà del proprio mantello; il cavallo è una massa
potente e dinamica che colpisce sia per l’originale inquadratura
prospettica obliqua, accentuata dalla fonte di luce, sia per la
testa fremente. L’espressività dello sguardo di questo
esemplare, memore di altri famosi cavalli cinquecenteschi, è
vibrante di un’ inaspettata “umanità”,
quasi a condividerla con il suo generoso cavaliere, e irrompe nella
scena con vigorosa quanto bonaria fisicità. Del resto i cavalli
ricorrono spesso nelle opere di Preti, soprattutto da quando si
trasferì a Malta ed eseguì molteplici committenze
per l’Ordine dei Cavalieri. Questi ultimi, ritenuti campioni
della fede cristiana, assegnavano una grande importanza alla figura
di San Giorgio, ritratto sempre sul suo bianco destriero mentre
uccide il drago, simbolo del male, e una grande tela con S. Giorgio
fu anche dipinta dal Preti per una chiesa de La Valletta.
Nell’opera conservata a San Martino al Cimino colpiscono la
leggerezza della pennellata, il dinamismo compositivo e la calda
tonalità dei rossi. Decisi contrasti luministici donano tensione
e movimento alla scena: la luce, a differenza di quella caravaggesca
d’origine trascendente, colpisce e si irradia sui due personaggi
accentuando il gesto generoso del soldato e la schiena nuda del
povero, posta in primo piano, e dunque, come fosse un espediente
di regia teatrale, ha lo scopo di commuovere l’osservatore
con effetti speciali.
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Mattia Preti: la pala di S. Martino e il dono del
mantello, 1649
Museo dell'Abate, S. Martino al Cimino
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Il "verso" della pala con "Il Salvator
mundi", Museo dell'Abate
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Nato a Taverna, un piccolo paese in provincia di Catanzaro nel 1613,
Mattia Preti fece molta strada grazie al suo innato talento che
gli permise di ottenere uno stile personale, pur modulato sui linguaggi
dei grandi artisti coevi: Giovanni Lanfranco e Guercino, Jusepe
de Ribera, detto Lo Spagnoletto e Caravaggio, che restò un
riferimento costante della sua lunga produzione pittorica. Appena
giunto a Roma dalla Calabria a soli 17 anni, nel 1630, si entusiasma,
infatti, del naturalismo caravaggesco, scegliendo come temi preferiti
delle sue tele musicisti e giocatori, soldati e scene di genere.
A Roma l’artista ha lasciato opere pregevolissime, come gli
affreschi dell’abside di S. Andrea della Valle, ma fu a Napoli
che espresse il meglio di sé realizzando grandiosi martirii
colmi di pathos, di un virtuosismo inedito e di un accentuato chiaroscuro.
Sconfitto, però, dall’astro nascente di Luca Giordano,
si trasferisce a Malta dove nel 1661 decora l’intera volta
della navata centrale della Chiesa di S. Giovanni alla Valletta,
ottenendo dall’Ordine dei Cavalieri il Cavalierato di Grazia
per meriti artistici. Il suo metodo di lavoro veloce e la facilità
di esecuzione, veramente rari, gli permettono di conquistarsi, al
pari (e forse più) del Caravaggio, la stima dell’Ordine
e la mai offuscata fama di Cavalier calabrese.
Sul verso dello stendardo di San Martino è raffigurato
il “Salvator mundi”;, come accennato, un’immagine
di Cristo emozionante, dal cui costato sgorga il sangue raccolto
da un angelo in una patera d’oro. L’allusione al Sacramento
dell’Eucarestia, cui era intitolata la Confraternita, è
chiara, tuttavia il coinvolgimento con il soggetto dipinto non deriva
dall’iconografia, proviene piuttosto dal gioco sapiente di
luci e ombre che fa rilucere d’intensa spiritualità
il bel corpo nudo di Cristo, risaltante sullo sfondo scuro di caravaggesca
memoria.
Pur assorbendo i suggerimenti provenienti dalla pittura seicentesca,
Preti non è mai scaduto nell’imitazione: il suo linguaggio
pittorico sa fondere la fastosità barocca con le tendenze
realistiche, l’ispirazione colta con il gusto popolare, la
bellezza formale con l’espressività.
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Pala di San Martino: (part.) Il dono del mantello
al povero.
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(1) Olimpia Maidalchini, donna molto ambiziosa
e avida, denominata “la pimpaccia”, andò sposa
a un rampollo dei Pamphilij, fratello del futuro Papa Innocenzo X
e, a quanto si evince dalle fonti , divenne l’eminenza grigia
del governo papale e delle sue scelte, perciò chiamata “la
papessa”. Nominata principessa di San Martino, fu lei a restaurare
l’antica e abbandonata Abbazia e ad affidare al grande architetto
Francesco Borromini la ristrutturazione con due torri della facciata
abbaziale, la costruzione della Porta principale della cittadina e
del palazzo principesco. Morì di peste nel 1657 e fu sepolta
sotto la navata centrale dell’Abbazia. |
Bruna Condoleo, storica dell'arte, curatrice di mostre e di cataloghi d'arte
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