Le quattro Pietà scolpite da Michelangelo Buonarroti (Caprese
1475/ Roma 1564), testimonianze plastiche dell’inquietudine
di un’anima profondamente cristiana, scolpite in situazioni
storiche e in tempi diversi, sono espressioni altissime del “divino
artefice” e ne descrivono il tormentato percorso esistenziale.
L’ultimo capolavoro del genio, “LA PIETÀ RONDANINI”,
dal 2 maggio 2015 trova una nuova "casa", sempre all’interno
del Castello Sforzesco, negli affascinanti spazi espositivi dell’Antico
Ospedale Spagnolo, allestiti da Michele De Lucchi.
All’incompiuta
Pietà, quarta scultura del medesimo tema destinata alla
propria tomba, Michelangelo aveva lavorato fin dal 1550 e in più
riprese ne aveva modificato le dimensioni, fino alla forma finale
in cui il corpo di Cristo è ricavato da quello primitivo
della Vergine, costituendo perciò un blocco unitario. L'ultima Pietà, che Michelangelo scolpiva ancora la settimana prima della sua morte, avvenuta all'età di 89 anni, il 18 febbraio del 1564, era un tempo conservata nel romano Palazzo Rondanini (da cui la denominazione), ma da 60 anni è custodita nel Castello Sforzesco a Milano; essa è composta di due figure: la Madre e il Figlio, proprio come la prima Pietà Vaticana. |
La Pietà Rondanini (1564), nella nuova collocazione al Castello Sorzesco
(credito fotografico: Roberto Mascaroni)
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La Pietà al centro dell' Antico Ospedale Spagnolo
(credito fotografico: Roberto Mascaroni)
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L’opera si eleva quale indescrivibile grido d’angoscia
del Maestro, che anche durante l’estrema vecchiaia non perse
mai la gagliardia inventiva di un’inesauribile potenza creativa.
“Rudere volontario” la definì il critico tedesco
Wilhelm Worringer nel testo “Astrazione ed Empatia”
(1906), ponendo l'accento sulla sconcertante modernità della scultura. Le figure,
infatti, larve non più umane, scolpite ai limiti dell’astrazione formale,
si allungano in uno spazio indefinito, che potremmo definire metaforicamente
"dell’anima", inglobate in un unico bozzolo di pietra, accomunate
nelle fattezze come nel sentimento, simbolo del processo stesso della
creazione che è fare e distruggere, asserire e negare, vita
e morte. Dal sereno nitore formale della giovanile "Pietà
Vaticana", conservta nella Basilica di S. Pietro, Michelangelo è pervenuto al fine della sua vita
all’angoscioso divenire della Pietà Rondanini: nella
sintesi espressionistica di immagine suggerita più che descritta,
l’opera rappresenta il testamento spirituale di un genio dell'arte incontrastato,
ma è anche lo specchio della crisi degli ideali umanistici e filosofici
del Rinascimento, di cui Michelangelo era stato il più grandioso
interprete.
Nella Pietà Vaticana, terminata a soli 24 anni (1499) a conclusione di una strabiliante produzione giovanile, reminiscenze dell'arte nordica, echi ferraresi ed emiliani e suggestioni leonardesche si mescolano in un capolavoro di gusto neoplatonico in cui la serena presentazione del dramma allontana e disperde la crudele realtà della morte. Il Cristo sembra dormiente nel dolce abbandono del capo; la Vergine, giovanissima, offre al mondo il figlio con gesto malinconico di rassegnazione, mentre il marmo candido disegna ampi e chiaroscurati panneggi, ma anche piani levigati e morbidi incarnati nei volti bellissimi di Madre e Figlio.
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La Pietà Rondanini nella Sala allestita da Michele De Lucchi (credito fotografico: Roberto Mascaroni)
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L’eleganza lineare e la dolcezza delle forme ne fanno un’opera
classica d’ intensa ispirazione poetica, ove passato (la maternità
della Vergine), presente (la morte del Figlio) e futuro (la resurrezione)
si annullano in una superiore sintesi mistica. Anche nelle successive
Pietà, scolpite durante la piena maturità, Michelangelo
conserva l’ispirazione all’antico, ma esse si trasformano
gradualmente in toccanti meditazioni sul tema del dolore, più
consone a una contemporanea sensibilità nell’ interpretazione
drammatica del mistero della morte. Influenzato nell’iconografia
da dipinti trecenteschi e da alcune stampe di Albrecht Dürer, 50
anni più tardi dalla prima, l’Artista scolpisce la
Pietà “Bandini”, conservata a Firenze, che secondo Giorgio Vasari e Ascanio Condivi era
stata ideata per una prima versione della propria tomba, da porsi in S. Maria
Maggiore a Roma. L’opera (incompiuta e ultimata da Tibero
Calcagni) è composta di ben 4 figure, disposte in uno schema
piramidale, più simile a una Deposizione: Cristo, la Madonna, Maria
Maddalena e il fariseo Nicodemo, che ha il volto di Michelangelo!
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Una visione del retro della scultura (credito fotografico: Roberto Mascaroni)
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In primo piano la tecnica del "non finito" (credito fotografico: Roberto Mascaroni)
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Nella terza “Pietà di Palestrina”, scolpita dallo
scultore già ultra settantenne, le figure si riducono a
tre, e tensione e angoscia sono espresse nelle evidenti sproporzioni
formali, nel volto dolente di Maria e nel largo utilizzo della
tecnica michelangiolesca del “non finito”. L’Artista
scolpisce ormai per sé, senza committenze, mai pago di
tradurre nel marmo, un tempo da lui levigato fino alla perfezione,
l’intimo travaglio, l’ansia di redenzione, anche
l’insoddisfazione nella realizzazione pratica dell’idea.
E’ noto, infatti, il concetto che il Maestro ha della scultura,
somma fra tutte le arti perché capace di tradurre, attraverso
la tecnica, il desiderio di “liberazione” della forma
dalla vile materia che la tiene prigioniera. Secondo Michelangelo
lo scultore ha l’arduo compito di “tollere”
il materiale superfluo dal blocco indistinto del marmo che già contiene
in nuce l’ idea, cioè la figura. Tale pensiero, di
matrice neoplatonica, aiuta a comprendere il significato e il
valore del suo “non finito”, che è visualizzazione
plastica della lotta titanica tra corpo (la dura materia) e anima (la figura finita), tra schiavitù
e libertà, tra umano e divino.
Dopo 60 anni dall’ allestimento nella Sala degli Scarlioni,
la Pietà Rondanini, posta all’interno dell’Antico
Ospedale Spagnolo, accentua la sua struggente intensità
espressionistica, grazie anche ad un’architettura ideale, semplice e spoglia, di sapore quasi mistico. In quegli
spazi collegati alla sofferenza, realizzati per i soldati della
guarnigione spagnola del Castello colpiti dalla peste nella seconda
metà del ‘500, proprio pochi anni dopo il momento
in cui Michelangelo a Roma lavorava alla Pietà, la nuova
collocazione appare una casualità particolarmente suggestiva!
Sabato 2 maggio l’inaugurazione del Museo Rondanini dà
anche l’avvio a ExpoinCittà con una grande festa al Castello
Sforzesco che prevede una settimana di ingresso gratuito al Museo, fino
a domenica 10 maggio.
Buona visita a tutti!
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Bruna Condoleo, storica dell'arte, curatrice di mostre e autrice di testi d'arte
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