Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Rivista bimestrale -Anno IV- Autunno 2008, n.16
ARCHITETTURA DEL 2000

Daniel Libeskind : l’architettura come metafora
di Ilaria D'Ambrosi


Pianta del Museo Ebraico a Berlino




Siamo nel 1971 e a Berlino sta iniziando a circolare l'idea di riaprire il Museo Ebraico, chiuso dal regime nazista nel 1938. Nel 1975 un comitato sceglie il sito dove verrà eretto l'acclamato museo: il quartiere di Kreuzberg, distrutto durante la guerra, è perfetto da ogni punto di vista per ospitare un'opera tanto simbolica. Dal 1975 molti sono stati i progetti ed i ripensamenti, ma sarà con l’architetto Daniel Libeskind che nel 1999 il museo ebraico di Berlino aprirà finalmente i battenti. Libeskind, nato in Polonia da una coppia di reduci dai campi di sterminio, libera il




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D. Libeskind: Museo Ebraico (1998) a Berlino. Il corridoio centrale, detto della "continuità"

suo grido decostruttivista (1) plasmando un progetto sensazionale, unico nel suo genere soprattutto per la definizione di “edificio non-funzionale”. Pensate che questa sia una caratteristica negativa per un edificio classe 1999? Nient’affatto. L’architetto Liberskind, docente della più famose Accademie di Architettura di Europa, degli Stati Uniti e del Giappone, ci dimostra che non è così: il Museo Ebraico è un “museo parlante” o meglio uno spazio definito da percorsi che descrivono la storia del popolo ebraico in Germania.

Berlino: esterno del Museo Ebraico
 

Chi ha la fortuna di trovarsi a Berlino, non mancherà di notare quanto questo edificio possa essere considerato un monumento sui generis ed in effetti il museo non si allontana dalla plasticità delle più prestigiose opere scultoree: i tagli inferti alla cortina delle pareti, rivestite di titanio, la drammaticità dei colori e delle forme, nient'altro che volumi e spigoli, parlano di una fetta di agghiacciante passato che rimarrà inesorabilmente nella storia.
Nel museo ebraico di Berlino Libeskind denuncia il genocidio, palesa l’angoscia di un popolo decimato, attraverso delle metafore più che tangibili, avvicinando l’osservatore alla soffocante realtà vissuta da milioni di ebrei durante le persecuzioni naziste. L’architettura parla di una lotta per la sopravvivenza che vede gli uomini gli uni contro gli altri;

perciò Libeskind nega l'accesso diretto al museo costringendo lo spettatore a oltrepassare un buio corridoio sotterraneo che collega il Berlin Museum al Judisches Museum: “in fondo avevano tutti sangue tedesco!”. Il percorso sotterraneo permette tre scelte. Un primo corridoio porta alla cosiddetta “Asse della Morte”: una torre triangolare vuota (La Torre dell’Olocausto), illuminata sono da una feritoia sulla copertura, dove il dramma attanaglia il visitatore che forse già inizia ad immedesimarsi nei terribili eventi.


finestre come feritoie...
 
finestre che ripropongono la pianta del Museo....


Un secondo corridoio porta all’ “Asse dell’Esilio”, che conduce al Giardino dell’Esilio: il labirintico percorso lungo un terreno in pendenza che ha al centro 49 piloni di cemento, la cui altezza di sei metri cela all’occhio gli alberi di olivagno, simbolo di pace e speranza per gli ebrei persi nella morsa dell’esilio. È interessante sapere che il numero dei piloni è un riferimento all’anno di nascita della nazione di Israele, mentre il 49° è cavo e riempito di terra di Gerusalemme. Il terzo ed ultimo asse è quello delle continuità, collegato ai primi due, ricorda il permanere degli ebrei a Berlino, nonostante la piaga dell’esilio e dell’olocausto.
L’assenza, il vuoto, il buio sono tutte sensazioni che Libeskind trasmette nella sua opera, scegliendo una gestualità progettuale forte e nitida, un linguaggio altamente significativo e comunicativo, mostrando, ad esempio, nella pianta a zig-zag (comunemente chiamato “blitz”, fulmine) l’immagine di una stella di Davide frammentata, “destrutturata”, se volessimo parlare in termini di movimento decostruttivista.


un drammatico spigolo con feritoia...








Il "Giardino dell'esilio" con gli allusivi pilastri...



Libeskind, toccato nel profondo della sua religione, ha deciso di far prendere coscienza ai berlinesi del dramma dell’olocausto attraverso la materia. Le finestre sottili e lunghe tranciano la pelle di zinco dell’edificio, sventrano la struttura del museo con squarci casuali: così ferito, l’edificio rompe l’opulenza barocca dello storico quartiere dove è stato costruito ed urla a pieni polmoni gli orrori consumati dai nazisti. In una delle tante sale dei piani superiori del museo egli ha realizzato la più simbolica ed emblematica rappresentazione del sacrificio ebraico: una lunga e stretta stanza, piastrellata di piatti volti di bronzo, su cui i visitatori sono costretti a camminare, procurando un sordo rumore metallico nel silenzio spettrale del vano, quasi urla umane che provengono dalle bocche spalancate di quei volti anonimi.


La stanza del ricordo dell'olocausto...








Sul pavimento bronzei volti urlanti.....



Molti uomini di cultura e giornalisti hanno parlato di Daniel Libeskind come del “pittore delle stragi”, quasi che “il successo delle sue opere viva sulle crisi mondiali”: questo hanno detto alcuni riferendosi anche al recentissimo progetto per Ground Zero, il vuoto lasciato dal crollo delle torri gemelle newyorkesi, bloccato dal sindaco di New York. Ma Libeskind non è ciò che si vuol far credere. Avvicinatosi relativamente tardi all'architettura, ha saputo trovare una logica precisa intorno a cui costruire il suo stile e questa è la linfa del suo successo. Recentemente chiamato per l'ampliamento del Victoria and Albert Hall a Londra, per il Museo Ebraico di San


La scala per i piani superiori...



strutture drammatiche e simboliche



Fancisco, per il Centro convegni Maurice Wohl dell'Università Bar-Ilan a Tel-Aviv, l'architetto ha lasciato alle sue spalle costruzioni strabilianti e cariche di significati, come il Museo ebraico danese a Copenaghen , l' Imperial War Museum North a Manchester, La University Post Graduate Centre a Londra e persino un monumento in Italia, chiamato "Memoria e Luce", a ricordo delle Twin Towers, a Padova .
In tutti questi edifici Libeskind ha lasciato l'orma della sua genialità, ma nel Museo di Berlino supera se stesso: attua gli insegnamenti della scuola decostruttivista per elaborare un messaggio universale, per portare alla memoria un vuoto storico e donare agli uomini “un emblema di speranza” .

(1) Il Decostruttivismo è un movimento nato in Russia negli anni '20, ma ripropostosi negli anni ’70 con diversi intendimenti e finalità. Esso intende creare per ogni architettura un pezzo autonomo, espressione della personalità dell’artista. L’opera decostruttivista, svincolata da legami con correnti architettoniche del passato, si situa preferibilmente nelle periferie e nei luoghi più degradati delle città, proponendo edifici definibili a volte “assurdi”, ma sempre fortemente simbolici.
Foto: "Studio Frank"



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