Pensare a un architetto quasi sempre ci porta alla mente i nomi
dei più noti “padri” dell’Architettura:
Wright, Le Corbusier, Terragni, Aalto o i contemporanei Koolhaas,
Piano, Isozaki , Calatrava, per citarne solo alcuni. Ma dove sono
le “madri”?
In Italia, fino agli anni cinquanta del novecento, le donne istruite
erano poco più del 30% (dati: ISTAT), mentre la struttura
sociale italiana, ancora lontana dai diritti riconosciuti in Inghilterra
o negli USA, rendeva oggettivamente impossibile per una donna
la gestione e il controllo delle fasi del cantiere.
“La donna deve obbedire.” Scriveva Benito Mussolini
nel 1927. “Essa è analitica, non sintetica. Ha forse
mai fatto l’architettura in tutti questi secoli? …Essa
è estranea all’architettura, che è sintesi
di tutte le arti, e ciò è simbolo del suo destino”.
Per smentire queste parole il boom economico post bellico, l’alfabetizzazione
di massa e lo sviluppo delle industrie hanno visto le donne rimboccarsi
le maniche nei campi lavorativi più disparati.
Sotto questa spinta innovativa e spesso rivoluzionaria, dalla
seconda metà del ‘900 le donne sono in prima linea
nel panorama architettonico nazionale e architetti del calibro
di Gae Aulenti, Cini Boeri e Franca Helg si impongono anche a
livello internazionale. Con un netto ritardo rispetto alle colleghe
Signe Hornborg (1862-1916), la prima donna laureata in Architettura
nel 1890 in Finlandia, e Sophya Hayden (1868-1953), l’architetto
che progettò il Palazzo delle Donne per l’Esposizione
Universale di Chicago del 1892, anche le italiane hanno saputo
sviluppare un gusto artistico e una dialettica personale, definita
da molti critici identitaria di uno stile innovativo nei confronti
del mestiere dell’architetto-uomo.
Se paragonate agli esempi esteri le cosiddette “pioniere
dell’Architettura” italiana sono molto meno numerose
e conosciute, probabilmente a causa del disinteresse manifestato
dagli storici e dell’abitudine di non citare per esteso
i nomi propri dei progettisti, oppure al desiderio di molte i
donne “architettrici” (come venivano chiamate le progettiste
negli anni ’20!) di rimanere nell’anonimato.
Nomi come le milanesi Elvira Luigia Morassi, occupata nella progettazione
degli interni, Carla Maria Bassi, autrice della Cassa di Risparmio
di Milano, la napoletana Stefania Filo Speziale, impegnata nella
realizzazione di quartieri IACP, Gescal e INA-Casa e le romane
Elena e Annarella Luzzato, le quali progettarono strutture per
servizi, e Attilia Travaglio Vaglieri, prima donna italiana a
vincere un concorso internazionale nel 1929 (in quanto donna ,
il premio non le fu assegnato a causa della legge musulmana!),
segnano il successo delle donne e dell’adeguatezza della
figura femminile nell’edilizia dei primi decenni del XX
secolo.
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La sensibilità e il linguaggio pulito nei progetti delle
donne architetto si realizzano in opere dalle linee semplici e
loquaci, la funzionalità è premiata con la progettazione
di ambienti ameni bagnati da fasci di luce, studiati per emozionare.
In molti saggi le critiche rivolte
all’ “Architettura rosa” sono tra le più
variopinte: si parla di “eleganza tutta femminile”,
di “architetture timidi”, “spazi familiari, legati
agli aspetti domestici dell’infanzia”, affermazioni
queste che lasciano un sapore amaro, volte da una parte a riconoscere
la figura della donna architetto e dall’altra a sottolinearne
gli aspetti meno affini a un mondo tradizionalmente ad appannaggio
maschile.
La sensibilità, assolutamente sopra le righe, dell'Architetto Gae
Aulenti, recentemente scomparsa a Milano, non si può dire ardita
diversamente dal quella che contraddistingue, ad esempio, Renzo
Piano o Norman Foster, solo perché donna; bensì si deve parlare
di un linguaggio architettonico costruito su ricerche personali.
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Nel Museo d’Orsay a Parigi, il genio dell’architetto
trasforma una vecchia stazione in un’opera d’arte che
contiene arte, legandosi al concetto di Arte a tutto tondo. In Francia
più che mai, i richiami al neoliberty sono fortissimi: il
tema floreale delle volte, le lunette e la lampada a “pipistrello”
rompono gli schematismi razionalisti sfociando nella ricercatezza
di un design pulito e leggerissimo. Lo stesso accade a Palazzo Grassi
a Venezia, nel Museo Nazionale di Arte Catalana a Barcellona, nell’Istituto
di Cultura italiano a Tokyo e nella ristrutturazione delle Scuderie
del Quirinale di Roma o nel neonato aeroporto di Perugia, tutti
esempi in cui la forza espressiva del talento di Gae Aulenti viene
elaborato attraverso un’indagine introspettiva, armonica e
rispettosa del luogo, caratteri che prescindono dal punto di vista
femminile del progettista. La stessa eleganza sottile e prorompente
che, sin dai primi progetti residenziali degli anni ’7o e
dalle opere di design per la Olivetti, oltre alle scenografie per
il Teatro di Prato, ha contraddistinto i progetti dell’ architetto
udinese e che dimostra una sensibilità autonoma e personale.
Gli importantissimi riconoscimenti conferiti a Gae Aulenti nel corso
della sua lunga carriera, come la Legion d’Honneur della Repubblica
francese o il premio speciale per la Cultura assegnatole dalla Repubblica
italiana, sono solo un omaggio doveroso al valore delle opere che
hanno consacrato l’Aulenti come protagonosta del mondo dell’
Architettura e del Design internazionali.
Allo stesso modo si potrebbe parlare dell’iraniana Zaha
Hadid, prima donna a vincere il premio Pritzker nel 2004; della
giapponese Kazuyo Sejima, Pritzker nel 2009 e autrice del nuovo
centro della Scuola Politecnica Federal di Losanna,il Rolex Learning
Center o della francese Odile Decq, progettista del MACRO di Roma.
La capacità di stupire, di creare plasmando lo spazio
intorno a noi, di suggerire l’elevazione, la dispersione
o la diffusione di un edificio nel suo contesto urbano sono le
doti irrinunciabili dell’architetto, uomo o donna che sia.
Tutto questo, grazie alla passione di donne che hanno saputo abbandonare
un ruolo subordinato per intraprendere un percorso architettonico
parallelo a quello creato dagli uomini. Facciamo nostra la speranza
che nel futuro le due direttrici possano essere sempre più
coincidenti.
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Ilaria D'Ambrosi, laureata in Architettura all'Università Roma Tre
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