A Torino, capitale della cultura e dell’arte, continua a intrigare
l’attività artistica svolta dal Centro Videoinsight
che, in collaborazione con Laura Bulian Gallery di Milano,
presenta fino al 27 ottobre prossimo una personale dell’artista
kazako Said Atabekov, a cura di Marco Scotini. Grazie alla
contaminazione di linguaggi diversi, con sottile ironia said Atabekov
analizza e mette a confronto la società contemporanea, orientale
e occidentale. L’artista si pone al pubblico come un "messia"
della comunicazione e con l’ausilio della fotografia e della
video-art produce immagini tratte da luoghi reali o virtuali per
affermare il valore del simbolo nell’immaginario artistico.
Alla base della sua ricerca ci sono anni di studio che lo hanno
già visto protagonista di progetti significativi presentati
alla Biennale di Venezia del 2011 e al New Museum di New York. Oggi,
invece, grazie a questo evento, lo conosciamo come portavoce della
quotidiana contiguità/contaminazione/definizione delle diverse
identità, che alternativamente agiscono sul confronto o sullo
scontro, sulla condivisione o sul rifiuto a “identificare”
e a ‘farsi identificare’. Said si presenta con scenografie
inedite come la grande installazione a parete, dal titolo Il
Manto di Gengis Khan (2010). In quest’opera il campo di
papaveri ha un forte impatto visivo non solo per il colore rosso
porpora, ma per il suo divenire metafora e simbolo-icona a ricordo
del sangue seminato dai caduti in battaglia per mano del condottiero
Gengis Khan.
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Said Atabekov : Korpeshe flags
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Said Atabekov: il Manto di
Gengis Khan (Korpeshe flags)
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Ccon i suoi lavori l'artista corre a testimoniare,
a interrogare e a interrogarsi, a scommettere una speranza, a compromettersi,
a lanciare un messaggio di riaffermazione della Pace nei luoghi
in cui la guerra ancora non cessa di esistere. La sua poetica dal
sapore romantico che utopisticamente punta a una pace globalizzante,
porta a riflettere sulla funzione dell’arte nella società
contemporanea, perchè, come riferisce Marc Augé in
Rovine e macerie, "..la società e l’arte
hanno il medesimo destino…la bellezza dell’arte dipende
dalla sua dimensione storica …".
La ricerca di Said Atabekov vola verso l’utopia possibile,
come spazio affidato a inedite forme e nuovi linguaggi dell’arte
multimediale. Sembra appartenere all’artista kazako anche
un' “allegoria apocalittica”, perché le sue immagini
mediatiche di violenza, prodotte nel video Battle for Square
del 2007, ricordano quelle che occupano i nostri schermi o abitano
le nostre menti. Con frame di questo tipo egli non può che
lanciare segnali di uscita dalla violenza. Linguaggi trasversali
e globalizzanti che diventano tracce, documentari e opere come il
video Walkman (2005), nel quale affascina la figura di un
uomo solitario che sceglie di fare il vagabondo e di attraversare
le steppe portando con sé solo il contrabbasso. Anche questo
personaggio diventa simbolo-icona che allude ad una trasformazione
dell’uomo dell’est teso verso un' occidentalizzazione,
non sempre auspicabile.
Nel video Battle for the Square (2007) Atabekov presenta,
invece, la sua idea di mercato contemporaneo con le immagini di
alcune clips documentarie del Kokpar, un gioco nazionale dove i
cavalieri lottano per conquistarsi un animale. Un percorso visivo
particolarmente coinvolgente e tutto da scoprire per capire meglio
la sua produzione e l’attività del Centro.
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Carmelita Brunetti, specializzata in Psicologia
dell'arte, giornalista, già docente all'Accademia di Belle
Arti FABA di Cosenza, attuale Direttore Responsabile della rivista
"Arte Contemporanea".
e-mail: carmelita.arte@libero.it
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