Francesca Secchi: La situazione
del restauro italiano in questo momento di crisi è estremamente
difficile; i grandi appalti sono sempre più spesso affidati alle
imprese edili, i fondi destinati alla cultura hanno subito tagli molto
ingenti. Qual' è la sua opinione in proposito?
Marina Pennini: Esistono due categorie
per il restauro monumentale: la OS2 e la OG2. La OS2 riguarda i
restauri storico-artistici, quindi anche i dipinti mobili, gli
affreschi, i graffiti, gli stucchi, gli intonaci, le suppellettili
antiche, la carta, ecc.; la OG2, invece, riguarda il restauro
monumentale eseguito non da restauratori, ma da maestranze edili. È
quindi sulla sottile linea di confine tra queste due categorie che si
delinea la “scelta di campo”. Se affidare cioè le superfici della
storia ad un intervento stratigrafico e graduale oppure ad azioni più
generali e meno mirate.
Soprattutto sui monumenti, infatti, esistono
tracce molto consistenti di finiture alcune volte ad intonaco, molto
sottili, date a protezione dell’architettura che,
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ovviamente, nel
momento in cui ad intervenire sono maestranze edili non possono essere
viste. Aggiungo che molti dati tecnici locali o più generali non risultano evidenziati nelle fonti scritte, ma si possono osservare e studiare sul “cantiere materiale”. Dati questi importanti, non solo da un punto di vista storico, ma anche da un punto di vista tecnico. Se infatti lo studio ed il confronto di questi dati consentirebbe di recuperare tracciati culturali, formazione delle maestranze antiche, tradizioni culturali, specificità locali interessantissime e diversificate non solo da regione a regione ma da paese a paese, ecc., la conoscenza più approfondita delle tecniche utilizzate e dell'uso di taluni materiali può essere fondamentale per la riproposizione di procedimenti operativi più duraturi e addirittura suggerire linee guida per nuove ricerche verso più moderne tecnologie d'intervento. È perciò fondamentale creare una più raffinata cultura generale e chiarire meglio chi deve fare cosa. Un esempio più che eclatante per tutti. Negli anni '80, a Roma, attraverso una operazione “illuminata” denominata poi “operazione Fori”, che vedeva l'intervento congiunto dell'Istituto Centrale del Restauro e della Soprintendenza Archeologica di Roma, si pose mano per la prima volta dopo secoli di abbandono, sui monumenti archeologici più importanti della capitale: Archi di Costantino, Tito, Settimio Severo, Colonne Antonina e Traiana, Tempio di Adriano, e altri monumenti ancora. Si agì con una DL congiunta tra i due Enti, vennero coinvolte per studi varie Università, e si utilizzarono solo restauratori. I metodi di intervento studiati e utilizzati consentirono la conservazione dei beni e lo studio approfondito della “materia dell'opera d'arte” (1), tanto da portare a scoperte e sistemi di conservazione ancora oggi validissimi. Tutto quanto venne annotatao su minuziosi rilievi con dettagliatissime mappature. Sempre dell'epoca sono i primi interventi sull'Anfiteatro Flavio, più conosciuto nel mondo come Colosseo. All'epoca ebbi modo di intervenire per la conservazione degli stucchi del passaggio imperiale nord e riuscimmo a sottrarli a spessi quanto durissimi strati di smog, recuperando tutto quanto conservato sotto di essi. Ancora intervenimmo sul travertino con i medesimi risultati conservativi e conoscitivi. Anni dopo, un tratto della facciata esterna fu restaurato da altri colleghi con gli stessi risultati di qualità. Oggi, dopo 30 anni, la Soprintendenza ha indetto una procedura negoziata per la categoria OG2 limitando alla nostra professionalità “frammenti” limitati di intervento. Si commenta da solo.
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Mascherone, particolare durante la pulitura. Ecco
cosa si vede da vicino restaurando i monumenti!
Arco di Tito, Fori
Imperiali, Roma. Particolare del pannello con la Scena del Trionfo:
tracce di patine.
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F.S.: Quali potrebbero
essere le conseguenze di queste nuove dinamiche sulla conservazione del
nostro patrimonio artistico?
M.P.: Se si continua così, danni al patrimonio e
mancata valorizzazione delle risorse umane costituite dai restauratori
che, essendo nato in Italia il Restauro e molte delle sue teorie, sono
di fatto i migliori del mondo.
Poi ancora oggi, il mancato adeguato
impiego del patrimonio culturale come risorsa economica. Non solo in
ambito turistico ma legata a tutta una serie di altri settori di
sviluppo.
In tal senso sto elaborando, da diverso tempo, un progetto
che può consentire la valorizzazione delle varie risorse e di
trasformare questo Paese in funzione della sua cultura.
Sarà un sogno,
ma si può fare.
Sto individuando anche gli interlocutori più adatti per
presentare la proposta e ottenere finanziamenti, ma le confesso, da
italiana, che mi piacerebbe fosse qualche nostro politico, anche se temo
che sarò più ascoltata da stranieri.
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Cattedrale di Anagni, esterno. Particolare con
tracce di intonaco che in origine rivestiva tutte le superfici esterne
della Cattedrale.
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Cattedrale di Anagni. Facciata e Campanile.
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F.S.: La professione del
restauratore è spesso non adeguatamente valorizzata in relazione alla
responsabilità di intervenire su un bene storico-artistico e alla
complessa formazione che questo lavoro richiede. Cosa pensa in merito?
M.P.: La nostra categoria non è una categoria molto forte e nemmeno tanto
unita, in più la nostra formazione professionale è estremamente varia,
diversificata e poco organizzata dal punto di vista impresa. Noi siamo
un misto tra artigiano, tecnico specializzato, artista ed
intellettuale, con formazione umanistica scientifica, tecnica e
pratica.
Da sempre la formazione intellettuale e quella pratica sono
divise. Infatti, anche le scuole si dividono tra licei e istituti
tecnici.
Nel nostro caso coincidono due aspetti generalmente separati e
uniti solo nell'ambito della formazione artistica.
Il restauratore,
agendo direttamente sull'opera d'arte ha una doppia responsabilità:
quella di progettare e scegliere la tipologia dell'intervento e quella
di eseguirla direttamente.
Il restauratore è colui che interscambia con
tutte le altre figure professionali, quali il chimico, il biologo, il
fisico, lo storico dell'arte, l'architetto, l'ingegnere, l'operaio, l'
archeologo, ecc. avendo una adeguata preparazione per poterlo fare.
Eppure la sua attività di progettazione è riconosciuta da poco tempo,
la sua interscambiabilità con le altre figure professionali, tra cui
spesso è mediatore, non è mai riconosciuta.
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Nella struttura d'impresa esso paga il prezzo di questa molteplice e indivisibile formazione, perciò racchiudendo in sé vari aspetti e difficilmente può strutturarsi con una gerarchia precisa. Per noi restauratori si dovrebbe studiare un sistema di riunione che, oltre all'organizzazione imprenditoriale, contempli aspetti degli studi associati.
Dico questo perché le vigenti normative anche fiscali, non sempre si adattano in modo adeguato alla specificità professionale del restauratore.
La formazione del restauratore oggi mi sembra ancora poco organica. Una volta c'erano gli istituti di Stato (ICR – OPD – Ravenna), poi si sono moltiplicate scuole private, corsi regionali e provinciali con programmi diversificati per temi e tempi. Si aggiungono oggi le lauree universitarie, prive di formazione pratica e gli Istituti di stato sono diventati scuole di alta formazione. Credo che la possibilità di formarsi come restauratori potrebbe trovare in Italia un grande punto di appoggio per l'economia italiana, ma anche i fondi per la valorizzazione del patrimonio andrebbero adeguati alle aumentate risorse umane. Insomma, come sopra, è un serpente che si morde la coda: prima viene la revisione economica in funzione del patrimonio, poi lo sviluppo delle risorse umane.
Quello che mi auguro è che i restauratori trovino la forza di unirsi in associazioni di categoria per non essere fagocitati da strutture più grandi che non ne rappresentano la qualità e che possano partecipare in modo più adeguato ai tavoli di trattativa politica e sindacale. |
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Cattedrale di Anagni, interno. Particolare del pavimento della navata
centrale.
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F.S.: Pensa che la categoria dei restauratori possa
fare concretamente qualcosa per cercare di cambiare in meglio la
situazione?
M.P.: Innanzi tutto riunirci in modo più compatto ed esprimere le
nostre esigenze con forza.
L'ARI (Associazione Restauratori Italiani)
sta facendo molti sforzi ed ha aperto le iscrizioni anche agli aiuto-
restauratori. Invito perciò tutti i colleghi italiani non ancora
iscritti a parteciparvi anche con contributi di idee e lavoro fattivo….
C'è tantissimo da fare…
F.S.: Il bando del Ministero per i Beni e le
Attività Culturali riguardante la qualifica della professione di
restauratore è al momento bloccato; crede che sarebbe utile
regolamentare la formazione del restauratore e, soprattutto, quale
sarebbe la formazione più adeguata per svolgere questo lavoro così complesso?
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M.P.: Sicuramente una fusione della teoria con la pratica con
modalità da studiare anche per le tipologie di riunione professionale.
Il bando è stato bloccato perché ritenuto da taluni troppo selettivo.
Vedremo cosà farà il MIBAC. Senz’altro alcuni restauratori sono stati
penalizzati e per essi mi auguro una giusta mira. Ma temo che
allargando troppo le maglie possano inserirsi figure professionali che
del restauratore non portano nemmeno il camice.
F.S.: La conservazione
preventiva, mezzo economico ed efficace per preservare il patrimonio
storico-artistico senza intervenire direttamente sulle opere, potrebbe
rappresentare il giusto indirizzo del settore del restauro, soprattutto
in questo periodo di crisi. Cosa ne pensa?
M.P.: La conservazione preventiva,
alias manutenzione, potrebbe dare da vivere a tutti i restauratori del
mondo: i vecchi potrebbero vivere sulla manutenzione e i giovani
restaurare opere nuove. Il problema è che, avendo il 73% dei beni
culturali del mondo, o si stanziano miliardi oppure non se ne viene a
capo. L'idea che, secondo me, potrebbe essere percorribile è che
potremo anche rivolgerci all'estero per ottenere finanziamenti con
scambi di studio.
L'idea potrebbe essere esposta in seguito su questa testata.
F.S.: Ci potrebbe illustrare brevemente di cosa si sta occupando in questo
periodo relativamente ad interventi di restauro recentemente conclusi o
attualmente in corso?
M.P: In questo momento sto lavorando in una chiesa in
Calabria su materiali diversi: legno, dipinti murali, tele e pietra.
Oltre al resto, un grosso problema conservativo è dato dalla
monumentale cornice della pala d'altare che definirei un caso limite di
restauro. È una cornice seicentesca intagliata, dorata e dipinta,
bellissima, che ha subito una riverniciatura da carrozziere. Il legno è
stato aggredito e svuotato da termiti e da una larva caratteristica.
In 25 anni di professione non ho mai visto una cosa del genere
e devo dire che stiamo ottenendo dei risultati straordinari con un
lavoro certosino, come si deve ad un restauratore che nella storia e
nel tempo della storia affonda il suo sapere e l’amore per questo
lavoro.
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Cornice della pala d’altare. Stato di conservazione: svuotamento
interno dovuto agli attacchi delle termiti e delle larve.
Villa
Venier Contarini, Venezia. Particolare della tecnica di esecuzione.
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La restauratrice, dott.ssa Marina Pennini, laureata
in Storia dell’Arte presso l’Università di Roma III, si dedica da oltre
vent’anni ai problemi della conservazione del patrimonio culturale. Dal
1986 è direttore tecnico della società Aurea Sectio s.r.l., e dal 2003
è nuovamente legale rappresentante della stessa. Ha curato interventi
conservativi su importanti monumenti, fra i quali la facciata
medioevale e la Cappella Caetani della Cattedrale di Anagni, il Ninfeo
del Bramante a Genazzano (RM), il Palazzo Chigi di Formello (RM), la
facciata di S. Ignazio, gli stucchi della Basilica sotterranea di Porta
Maggiore e il Tempio di Adriano a Roma, nonché dipinti come tele e
tavole di Tiziano, Guercino, Dosso Dossi, i dipinti murali della
Cattedrale di Anagni e della Villa Venier Contarini a Mira (VE). Ha
ricoperto gli incarichi di Direttore Operativo per l’Ufficio di Direzione
Lavori della Soprintendenza ai Monumenti del Lazio e di Coordinatore
della commissione per la “Conservazione del centro storico, la
riqualificazione del paesaggio, l’ideazione del paesaggio notturno” per
il Comune di Lugnano in Teverina (TR). Si è occupata della
progettazione di diversi restauri, tra cui il recupero della Cattedrale
di Pozzuoli e dei centri storici di Ferentino e Vallecorsa.
Ha svolto,
inoltre, un’intensa attività di insegnamento, tenendo lezioni di
“restauro dei dipinti su tavola” presso l’Università di Roma III, di
“restauro lapideo” presso la Facoltà di Architettura dell’Università
“La Sapienza” di Roma, di “restauro di dipinti murali ed intonaci” e di
“catalogazione fotografica specialistica per beni architettonici,
storico- artistici ed archeologici mobili” presso il CEFME di Roma e
Provincia.
Tra le sue numerose pubblicazioni, ha apportato importanti
contributi specialistici concentrando l’attenzione sugli aspetti
metodologici e sui criteri di approccio ai problemi conservativi.
Si
dedica, infine, a disegnare gioielli ispirandosi alle decorazioni
delle superfici architettoniche.
Per l’impegno nella sua professione e
per meriti nello svolgimento del suo lavoro, le è stato conferito nel
1990 il “Premio Minerva per le Arti”.
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(1) Cesare Brandi. Teoria del Restauro. Edizioni di Storia e Letteratura, 1963.
Francesca Secchi è restauratrice, diplomata all'ICR di Roma, specializzata in Restauro Pitture, moderne e contemporanee
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