La Basilica di S. Francesco di Assisi: un restauro tra presente e futuro.
“ Sono terminati i restauri. Ultimo atto di un lavoro che si spiega soltanto con una forte passione ed un amore continuamente sostenuto da grande professionalità.” Frate Vincenzo Coli
Emozione, felicità, incredulità, soddisfazione: ecco cosa si
prova oggi varcando, dopo nove anni dal disastroso sisma,
l'ingresso della Basilica Superiore di S. Francesco ad Assisi
ed osservando le vele ricomposte e ricollocate.
Chi di noi non conserva impresso nella memoria il terribile
filmato, molte volte ripetuto dalla televisione, del
momento del crollo la mattina del 26 settembre 1997?! Di fronte alla visione dell'enorme cumulo
di macerie sul prato antistante la Basilica, chi poteva prevedere un simile risultato?
5 Aprile 2006 . E' il giorno dell'inaugurazione della Basilica
Superiore interamente restaurata: l'utopia è diventata realtà.
Questo risultato si deve al lungo lavoro di numerose competenze, primi
fra tutti i restauratori, che si sono impegnati ininterrottamente
alla ricomposizione di opere d'arte distrutte nell'arco di
pochissimi secondi da un evento naturale così violento.
La duplice Basilica, consacrata nel 1253 sorge, quasi per uno
scherzo del destino, sul colle detto “dell'inferno”, dove un tempo remoto si
svolgevano le esecuzioni capitali: la Chiesa Inferiore, una grandiosa
cripta dalle possenti forme romaniche, iniziata nel 1228 (due
anni dopo la morte di S. Francesco) è dedicata al culto del santo;
la Chiesa superiore, costruita sui modelli del gotico umbro,
è un'ampia e luminosa aula destinata alla predicazione, che
racchiude al suo interno la più completa decorazione murale
del Duecento e Trecento italiano.
Immaginiamo di ripercorrere come un flashback i più significativi
momenti di questo lungo “cantiere dell'utopia” che ha permesso,
grazie al progetto ed alla direzione dell'Istituto Centrale per
il Restauro di Roma, una sorta di nuova consacrazione della Basilica,
restituendo al pubblico la decorazione pittorica originale.
26 Settembre 1997 . A poche ore dal sisma, gruppi di volontari,
restauratori e studenti, al riparo di una tettoia appositamente
costruita, setacciano il cumulo di macerie appartenenti
agli affreschi con i Santi dell'arcone d'ingresso ed alla vela del S. Gerolamo
di Giotto, trasportate attraverso dei rulli sul sagrato antistante
la Basilica per non farle schiacciare dalle ruspe in un
unico mucchio. I frammenti, recuperati integralmente, vengono
suddivisi in contenitori provvisori dopo una prima selezione
per tipologia e quindi trasferiti in un ambiente interno al
Sacro Convento, detto Stallone, adibito a laboratorio ed
all'immagazzinamento dei frammenti.
Per i frammenti della vela del S. Matteo di Cimabue e della
vela stellata la situazione è assai più critica: al momento
del crollo subiscono una duplice caduta, precipitando sull'altare
maggiore prima di incontrare il pavimento e riducendosi in
frammenti delle dimensioni di pochi centimetri quadrati, oppure
grandi non più di un'unghia o, spesso, sbriciolandosi.
Per il pericolo di altre scosse, si attendono i giorni successivi
per selezionare rapidamente sul posto l'enorme massa di
materiale, continuando poi il lavoro in condizioni di sicurezza,
fuori dalla Basilica.
26 Settembre 2002 . Gli otto Santi dell'arcone d'ingresso, la vela
del S. Gerolamo di Giotto ed il costolone di separazione, una volta
ricomposti, tornano ad occupare la collocazione
originaria. E' un grande recupero: l'immagine d'insieme, nonostante non
sia più integra per le perdite causate dal crollo, è perfettamente
leggibile, anche da 20 metri di distanza. Questo risultato è
stato ottenuto applicando la teoria dell'abbassamento
ottico dell'intonaco, propugnata dal grande storico dell'arte Cesare Brandi, di cui si celebra il centenario della nascita. Le parti mancanti, dette lacune, se lasciate al “naturale”, tenderebbero ad “avanzare” in primo piano rispetto
all'immagine, se reintegrate ad acquarello, invece, “retrocedono” otticamente
verso il fondo, permettendo una più corretta fruibilità dell'immagine.
Ma 120.000 frammenti aspettano ancora di essere ricollocati! Perciò da
questa data i restauratori sono nuovamente all'opera nel laboratorio
prefabbricato, appositamente costruito nel Giardino dei Novizi.
Enormi tavoli sono occupati da stampe fotografiche delle parti crollate in scala reale,
a colori, al di sopra delle quali vengono
posizionati i frammenti riconosciuti nella situazione originaria.
Questa operazione è necessaria per valutare la percentuale
della superficie recuperata; purtroppo ci si rende presto conto che
la quantità dei frammenti riposizionati corrisponde, per la vela
del S. Matteo di Cimabue, soltanto al 20-25 % e si apre quindi
un acceso dibattito sulle possibili soluzioni da seguire. Si pensa dapprima
alla creazione di un “Museo del terremoto”, dove conservare la
scarsa quantità di materiale ricomposto, ma anche grazie ai
risultati di un'indagine condotta sul pubblico visitatore,
cui sono stati posti sei quesiti sul restauro, nel corso del
Seminario Internazionale del maggio 2005 è stata presa la
decisione di ricollocare “comunque” i frammenti, pur nell'incertezza
del risultato finale.
La sofferta soluzione porta alla fase conclusiva del lavoro, terminata in questo anno:
i frammenti della vela del S. Matteo sono stati assottigliati
e collocati su nuovi supporti costruiti mediante controforme,
quindi il nuovo intonaco è stato abbassato cromaticamente
fino al tono desiderato. Per la vela stellata, attigua alla vela
di Cimabue e peraltro quasi interamente ridipinta nell'Ottocento,
non si è potuto procedere al riassemblaggio dei frammenti,
operazione difficoltosa per una superficie monocroma; si è
optato dunque per l'abbassamento ottico-cromatico dell'intonaco ai
fini di evitare una sorta di buco figurativo, accanto ad una
situazione frammentaria come quella della vela del S. Matteo.
Fondamentale, a livello dell'individuazione ottica degli spazi,
il ruolo del costolone di separazione tra le due vele, le cui fasce
decorative sono state ricomposte presso il Laboratorio
dell'I.C.R.
Di fronte alla vela del S. Matteo, descritta dallo storico dell'arte Bruno
Zanardi come “ una grande spiaggia sabbiosa (la cosiddetta tinta neutra)
su cui vola in ordine sparso un informe sciame di farfalle
(i frammenti autografi di colore)”, e dinanzi alle polemiche sollevate
da chi non si è trovato, come invece chi scrive, a dare un proprio
contributo alla lunga ed estenuante ricerca dei frammenti,
la risposta può ritrovarsi nel concetto di “rudere”, proposto da Brandi. “Il rudere è il residuo di un monumento che non può rimanere che quello che è, onde il restauro altro non può consistere che nella sua conservazione con i procedimenti tecnici che esige.” (C. Brandi: Teoria del Restauro) Anche se è impossibile l'integrale ricostruzione visiva dell'immagine, i frammenti della vela del S. Matteo fanno parte di un contesto figurativo di enorme valore storico ed estetico che va pertanto restaurato e tramandato ai posteri.
Alzando gli occhi verso ciò che oggi può essere definito una sorta di “reliquia”,
la speranza è fermamente riposta nel futuro: fra venti, cinquanta
o cento anni la tecnologia forse renderà possibile la ricollocazione
dei frammenti che ancora adesso giacciono numerosi nelle cassette
del magazzino e che, con il sistema automatico di riassemblaggio
attuale, possono essere ricomposti per il momento soltanto
virtualmente.
Chi vivrà, vedrà.
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Materiale di crollo posto davanti alla Basilica
S.Antonio ricollocato

Volta di Cimabue crollata

Vela di S.Girolamo ricollocata

Laboratorio di restauro
Interventi di restauro

Vela di San Matteo
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