Arte e costume sono stati nel tempo sempre collegati, fin dalle
civiltà antichissime, come, ad esempio quella egizia che
sapeva esprimere anche nei particolari dell’abbigliamento
gli elementi fondamentali della propria ideologia artistico-religiosa
(pensiamo al gonnellino dei faraoni, lo schentis, che ripete la
forma della piramide!).
Ma c’è un movimento dell’arte dell’inizio
del ‘900 che ha allargato i propri canoni estetici anche al
mondo della moda. Mi riferisco all’avanguardia italiana futurista
che, com’è noto, ha proposto il concetto di un’arte
totale, capace di espletarsi in tutti i settori della vita, dalla
pittura al teatro, dalla poesia alla musica, dal cinema al mondo
della meccanica, dalla fotografia alla moda. L’idea del progresso,
del dinamismo, della forza del colore, proclamata dal Futurismo,
trova nella creazione di abiti un campo fertile, anche perchè
da sempre l’abito è un’apparenza caricata di
forza simbolica e di risonanza culturale. Molti artisti del ‘900
si sono cimentati nell’ideazione e nella realizzazione di
costumi, ma si trattava soprattutto di abbigliamento per il teatro,
attraverso il quale si esprimevano, anche in questo settore, gli
elementi caratteristici della propria visione artistica. Matisse
e Braque, ad esempio, si sono occupati di costumi per il balletto;
Guttuso, Casorati, Savinio, Carrà, Sassu, De Chirico, Martini
hanno profuso il loro ingegno nell’ideazione di costumi per
il Teatro alla Scala di Milano per molti decenni.
Nel 1919 il fiorentino Ernesto Thayaht (pseudonimo di Michaehelles),
pittore e scultore, scenografo e designer, progetta e realizza la
“tuta” futurista, un rivoluzionario abito quotidiano
che s’inserisce nella prospettiva della “ricostruzione
universale” propugnata da Giacomo Balla e Fortunato Depero
nel ‘15, riproposta poi nel “Manifesto della moda femminile”.
La tuta ideata da Thayaht vuole essere un abbigliamento pratico
ed essenziale, adatto a tutti (da qui il termine "tuta"
o tutta), comodo, economico e realizzabile autonomamente. Si tratta,
infatti, di una pezza intera di stoffa di misure ben definite (450x70
cm), cui si dà una forma a T, che veste tutta la persona
utilizzando pochissime cuciture. E’ un abbigliamento progettato
per il futuro, come per un futuro tecnologico sono anche le fibre
sintetiche e metalliche impiegate da Victor Aldo De Sanctis (1909/1997),
ingegnere che progetta cappelli metallici e panciotti da sera in
alluminio, negli stessi anni in cui a Torino viene organizzata la
“I Mostra dell’Ambientazione e della Moda”, nel
1932. I cappelli di De Sanctis sono fantasiosi quanto pratici: quelli
estivi con aerazione a radiatore e manica a vento, gli invernali
con visiera di celluloide e tela impermeabile sul collo.
Anche Depero, durante l'età del 2° Futurismo, è
stato attratto dal mondo della moda e ha prodotto stoffe, tappeti
singolari e coloratissimi panciotti, realizzati con tagli netti
e decorazioni dinamiche; lo stesso pittore Balla, oltre ai completi
maschili, caratterizzati da linee fluide, ha disegnato panciotti
dai tessuti e dai colori particolarmente accesi, con motivi ispirati
alla velocità, indumenti molto lontani dai tradizionali gilet
maschili, usati fino ad allora! Dunque, una moda gioiosa quella
proposta dai futuristi, che tramite il brillante e dinamico cromatismo
intende trasmettere, oltre all'anticonformismo, l’ottimismo
degli artisti nei confronti del progresso e dell’attesa di
un mondo nuovo.
Se con il tempo la tuta di Thayaht ha assunto le caratteristiche
di abito da lavoro, pur non essendo nata a questo scopo (pensiamo
alle tute degli operai!), nel corso dei decenni successivi la sua
invenzione è stata invece rivisitata da vari stilisti di moda (Pucci,
Krizia, Ken Scott...) che hanno realizzato con lo stesso metodo
abiti sciolti e pratici, come la salopette femminile in voga
negli anni '70/80, versione meno rigida e più allegerita
della tuta futurista, oppure il cilindro di maglia tubolare multiuso,
creato da Nanni Strada, un abito essenziale e trasformabile grazie
a poche manipolazioni.
Come sempre le nuove idee vengono riprese dal passato, elaborate
e adeguate al presente, riproponendo i dettami della moda attuale
che sempre impone il cambiamento quale legge suprema.