Tomba di Nakht, Parete ovest, TT52 Necropoli tebana
di Sheikh Abd el-Qurna particolare, XVIII dinastia. Foto Michele
Alquati
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Nella città di Alba (Cuneo) si può
visitare una mostra singolare, dal titolo “Il vino nell’Antico
Egitto. Il passato nel bicchiere”, che attraverso l’esposizione
di reperti archeologici pittorici e scultorei, provenienti dal Museo
Egizio di Torino e dal Museo di Firenze, ripercorre usi e consuetudini
di vita dalle epoche più lontane (2600 circa a.C.) fino al
III secolo d.C. , focalizzando l’interesse sulla vita agricola
e sulle abitudini quotidiane, strettamente connesse con la religiosità
e con il mondo dell’oltretomba, concetti fondamentali della
cultura egizia.
Disteso lungo le rive fertili del Fiume sacro, il Nilo, il popolo
egizio ha lasciato ai posteri i segni di una creatività straordinaria
che sbalordisce ancor oggi per le conquiste raggiunte e per l’entità
delle testimonianze: piramidi imponenti e tombe scavate nella roccia,
decorate con affreschi vivaci; templi superbi con statue colossali
e obelischi, mummie e papiri, suppellettili e gioielli raffinati
raccontano storia, arte, abitudini, riti e costumi plurimillenari.
La società egizia, adoratrice del Sole, era concepita in
forma piramidale, a iniziare dalle classi privilegiate (il faraone,
gli architetti, i dignitari, i sacerdoti, per proseguire con i militari
e gli scriba, detentori della scrittura) per giungere agli artigiani,
agli operai e agli agricoltori, cui spettava l’importante
compito di coltivare le viti, di vendemmiare e di mettere in anfora,
per proseguire con la vinificazione, l’invecchiamento e la
commercializzazione del prodotto (Tomba di Nakht TT52, Necropoli
tebana di Sheikh Ab del-Qurna). Tali riti agricoli erano strettamente
connessi con il pensiero religioso e con i suoi significati simbolici;
infatti le divinità ad essi collegate erano le più
importanti dell’Olimpo egizio: Osiride, dio dei morti e dell’oltretomba,
Iside, moglie del Dio e madre di Orus, detentrice di poteri taumaturgici
e rigeneratrice di vita, della quale i grappoli d’uva sono
chiari simboli. Anche il mito relativo al dio Osiride, fatto a pezzi
dal fratello Set, e ricomposto da Iside con magici unguenti, è
in relazione al vino, rosso come il sangue della Divinità
vincitrice sulla morte.
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Tomba di Nakht, Parete sud, TT52_Necropoli tebana di Sheikh Abd el-Qurna
XVIII dinastia.
Foto Michele Alquati
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Nei bellissimi affreschi tombali egizi e nelle stele esposte
in mostra si possono ricostruire le tecniche agricole degli Egizi,
si individuano gli oggetti d’uso quotidiano, come le anfore,
i calici e le tazze di pasta silicea smaltata a forma del fiore
di loto, sacro ai Faraoni; ma al contempo si individuano i costumi
dei ceti sociali più bassi, semplicissimi e costituiti
per l’uomo da un unico elemento, il pano (una sorta di perizoma)
e da una tunica disadorna per le donne.
L’abbigliamento del faraone, somma autorità religiosa
e politica, come quello delle classi privilegiate, era formato
invece da un gonnellino, chiamato schentis, di forma triangolare,
spesso reso rigido sul davanti grazie a un’ intelaiatura
di giunchi, cui si aggiungevano molti ornamenti, come cinture
e vistosi collari, detti hosckh, realizzati dagli esperti orafi
con pietre dure, oro, coralli, turchesi e smalti, uniti a bracciali,
anelli, orecchini e copricapi preziosi, simili per uomini e donne.
I faraoni, come le immagini scolpite e dipinte delle divinità,
portavano sul capo il diadema o uraeus, una corona d’oro
ornata sulla fronte dalle teste di un cobra e di un avvoltoio;
oppure venivano indossati i due copricapi reali, l’uno bianco,
conico e l’altro rosso, a forma di tronco di cono rovesciato,
che si calzava sul primo, a testimoniare il dominio del sovrano
rispettivamente sull’Alto e sul Basso Egitto. L’altro
copricapo, con il quale si è solito pensare ai faraoni
o alla scultura colossale della Sfinge, è il klaft, usato
anche dalle regine, costituito da due lembi di stoffa preziosa
laminata in oro con strisce blu-Nilo, che scendono sulle spalle,
ai lati del collo, come nella celebre maschera d’oro di
Tutankamon, conservata al museo del Cairo; mentre il kheperesh
è un casco regale, di forma tondeggiante, portato dal faraone
in assetto militare. Sandali di papiro infradito, con punta ricurva,
completavano l’abbigliamento che era sempre fatto di tessuti
leggeri come il cotone, ma più frequentemente di lino.
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Tomba TT290 di Irynefer, primi anni del regno di
Ramses II (1279-1213 a.C.). In mostra la ricostruzione in scala
reale.
Foto Michele Alquati
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Tomba TT290 di Irynefer, primi anni del regno di
Ramses II (1279-1213 a.C.). In mostra la ricostruzione in scala
reale.
Foto Michele Alquati
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Le donne portavano la kalasiris, una leggerissima veste di forma
tubolare, lunga alle caviglie, aderente al corpo e sorretta da
due bretelle, realizzata per le classi elevate con lini decorati
a nido d’ape e incastonati di pietre dure; oppure usavano
una veste trasparente e bianca, più ampia e plissettata,
con una mantellina ricadente sulle spalle, come si vede in tante
immagini dipinte o scolpite, indossata spesso anche dai faraoni
(v. Tomba di Irynefer: il faraone e la regina alla presenza del
dio Osiride).
Gli uomini, ma anche le donne, usavano parrucche di fogge diverse,
con trecce sottili, intrecciate con stoffe e fili di lana o con
altri materiali, decorate con fiori di loto, con scarabei o coroncine
auree. Le parrucche erano indossate sulle teste ben rasate a causa
del clima caldo e per motivi igienici; per tutti era in voga un
trucco pesante e sapiente che evidenziava gli occhi attraverso
le lunghe linee nere del kajal, il verde smeraldo sulle palpebre,
il rosso sulle gote, estratto dal melograno e il carminio sulle
labbra, mentre molto importante era la cura del corpo che veniva
cosparso con oli emollienti e profumati.
La mostra “Il vino nell’Antico Egitto”, curata
dall’archeologa egittologa Sabina Malgora e ospitata nella
Chiesa di S. Domenico ad Alba, è organizzata dall’Associazione
Culturale Mummy Project; l’esposizione mette in risalto,
attraverso il tema del vino, i rapporti tra l’antica cultura
egizia e la storia della nostra Penisola mostrando al pubblico
50 preziosi reperti d’arte, nonché la ricostruzione
in scala reale della tomba TT290 di Irynefer della necropoli del
villaggio degli operai che costruirono le tombe della valle dei
Re e delle Regine, Deir el Medina. (dal 22 marzo al 19 maggio
2014).
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Tomba TT290 di Irynefer, primi anni del regno di
Ramses II (1279-1213 a.C.). In mostra la ricostruzione in scala
reale.
Foto Michele Alquati
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Stele di Senbi,
Medio Regno, XII din. -Nuovo Regno, calcare, cm h. 41,5x32
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