Nell'Ala Mazzoniana della Stazione Termini di Roma si è da poco concluso un evento multimediale dal titolo: “MostraMostro”, in cui l'artista Federica Giglio ha presentato le sue opere.
La singolare esposizione potrebbe definirsi come una pelle di serpente lasciata da
qualche rettile, il residuo impuro di un corpo in metamorfosi costante, un
abito sporco e logoro gettato in terra, un edificio in disuso senza più
porte e finestre. Fantasmi cristallizzati in forme iperrealistiche,
laboratorio alchemico che distilla ancora una volta la vita, la vita che
torna più dolce, e forse poi ancora più amara, ma sempre torna. E sempre
"deve" tornare. Estasi luminosa dopo un abissale silenzio, la mostra
di Federica Giglio, o meglio una sorta di suo "funerale", come lei stessa
afferma lapidaria, drammatizzando ed esorcizzando il proprio male di vivere,
diagnosticato come disturbo “bipolare” o malattia maniaco-depressiva.
Molto ha di teatrale la funzionalità catartica attivata dalla sua arte, terapia
naturale e prodigio, così come la sua maniera di stazionare tra le proprie
creazioni ed il linguaggio laconico e incisivo come una freccia. Quasi si
vorrebbe costringerla a restare lì, come opera tra le sue opere, a non
abbandonare la scena. Federica si smembra, senza pudore, sotto i nostri
sguardi e si rigenera pronunciando le parole del rito che lei dedica
a sé e che desidera condividere con gli altri : "L'importante è arrivare
vivi alla morte!", questa l' unica frase con cui saluta il pubblico, dopo l'acuta presentazione di Furio Colombo.
L'esibizione ha compreso un video-documentario sulla genesi delle opere,
destinato ad entrare in relazione casuale con lo spettatore, un libro e
quattro installazioni: una cassettiera contenente vari oggetti, un grande
tappeto di pigmento rosa fucsia in cui sono inseriti stecchini verdi, come
fili d'erba, che sorreggono ciliegie, un calco di se stessa che fa colazione
"in buona compagnia", come recita il titolo dell'opera, alludendo al flacone
di litio, al caffè, all'acqua, alle sigarette ed ad uno specchio presenti sul tavolo al quale
siede, il tutto racchiuso dentro una gabbia dorata. L' altro calco di sé è
invece posto all'interno di una teca di plexiglas, trafitto da
grandi lance argentate che si conficcano nel suo capo e nel suo petto, opera dal
caustico titolo "Benedetta da Dio".
Iconografie del dolore, creazioni interattive, oggetti che dialogano tra
loro offrendo un'esperienza esistenziale senza veli, senza reticenze e
proprio in questi sottili intrecci è la vera forza dell'esibizione.
Autentico capolavoro, a mio avviso, il libro: un libro con un'anima ardente, non solo
graficamente attraente, con la sua copertina fucsia e le foto delle opere
che svelano le intrinseche simbologie, ma un testo di narrazione
indiretta, dal quale affiora gradualmente un delicato e profondo profilo
umano dell'artista, captato dalla sensibilità e dagli occhi dell'altro.
Ritratti commossi ad opera di amici e parenti, lettere infuse di autentica
tenerezza, preziose memorie, frammenti di un'ilarità perduta, poesie, doni
tutti legati agli oggetti presenti nella cassettiera. E ancora i
fotogrammi che appartengono alla procedura di esecuzione del calco, già esposta
nel video e qui nuovamente documentata. In primo piano un corpo che ha
stigmatizzato il suo male, intento ad imprimerne le linee nel gesso,
plasmando così la “salma” protagonista dell'evento. ".Sono morta tante
volte, afferma la Giglio, ma sono sempre resuscitata" , e conclude l'intervista, che ci ha concesso con slancio: "io mi libero del
lutto, così…" simulando un calcio con un energico colpo di tacco della scarpa!
L'evento espositivo, tenutosi alla Mazzoniana nella Stazione Termini romana, si è concluso il 24 marzo scorso.
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Autoscatto in crisi maniacale, 1998

senza titolo (part), 2005

Mi piace fare colazione in buona compagnia, 2005
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