Quando, sul finire degli anni ’70 dello scorso secolo, il
mio fraterno e carissimo amico Elio Russo, scomparso di recente
a soli 68 anni, mi suggerì di non passare alla stampa offset,
rimasi scetticamente a riflettere sulle sue parole.
Il suo consiglio, infatti, mi sorprese non poco, soprattutto perché,
fino a poco tempo prima e dopo anni di composizione e stampa a mano,
prima con mio padre e poi con me, Elio Russo era stato un accanito
sostenitore delle nuove tecnologie e del colore, che tanto stava
spopolando nel mondo, e sempre lui ci aveva spronato a fare questo
moderno e necessario passaggio per migliorare la qualità,
accorciare i tempi e allargare gli orizzonti commerciali, unendo
così la qualità al prezzo.
Erano gli anni in cui a Scalea (siamo in provincia di Cosenza) impazzava,
forte e frenetico, il boom delle costruzioni, e il fiorire di nuove
aziende e attività commerciali imponeva e richiedeva sistemi
di stampa litografica e macchine sempre più veloci, di alta
qualità e all’avanguardia, per permettere l’uscita,
a rotazione, di tantissimi opuscoli e lavori vari a colori.
Nel campo della composizione, dopo quella realizzata a mano con
caratteri mobili in antimonio, legno e plastica, e all’utilizzo
della mitica Linotype (all’ingresso de Il Corriere della Sera,
in via Solferino a Milano, fa bella mostra un modello 44, lo stesso
che si trovava in via Campanella, a Scalea, presso la nostra azienda
di famiglia), fecero seguito le prime, rumorose e complicate fotocomposizioni,
anticipatrici dei primi e rudimentali computer che avrebbero raggiunto,
qualche anno dopo, il massimo della tecnologia elettronica con i
primi Macintosh della Apple.
Ormai il mondo della stampa correva velocissimo verso sempre nuovi,
sofisticati e risolutivi sistemi. Addio alla stampa alla Gutenberg
e ai sistemi d’arte tradizionali, come quelli usati da mio
nonno, all’ inizio del secolo scorso, e poi da mio padre,
da me e dai miei collaboratori nella più recente gestione!
Il prodotto si poteva realizzare in automatico e con grande facilità
e semplicità. Non servivano più le grandi scuole tipografiche,
fatte di stili di corpo, di tecnica e di tanto mestiere. In pochi
mesi tutti potevano diventare stampatori offset e compositori al
computer.
Fu proprio allora, tra il 1979 e il 1980, che Elio Russo, dopo aver
sponsorizzato a più non posso la stampa offset di ultimissima
generazione e dopo aver realizzato con me una moltitudine di lavori
litografici a colori, ritornò sui suoi passi, cominciando
a ripetermi che ci dovevamo fermare. A suo giudizio, dovevamo dire
stop ai nuovi sistemi e all’offset che per qualche anno avevano
imperato e che ci aveva dato anche grandissime soddisfazioni.
Perché Elio aveva cambiato idea? Me lo spiegò egli
stesso: con la corsa del progresso tipografico era iniziato anche
l’appiattimento più becero della carta stampata, l’arte
aveva lasciato il campo alla tecnologia. Elio non accettò
mai questo stato di cose e rifiutò la stampa come catena
di montaggio, a rimorchio del digitale e in automatismo assoluto.
Secondo lui bisognava ripartire da dove si era incominciato.
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La
corsa per inerzia non gli interessava più e i primati ancora
meno. Bisognava tornare e prendere nuovamente in mano il vecchio
compositoio e stampare sulle vecchie platine Heidelberg e sulla
vecchia pedalina Magnoni & Figli Monza di mio nonno del 1921.
Bisognava ridare alla stampa il suo vecchio fascino e la sua importanza.
Bisognava rifondare una “Stamperia d’Arte” nel
vero senso della parola. Dovevamo riaprire i vecchi e preziosi cassetti
e tirare fuori i caratteri odorosi di legno stagionato e piombo,
dovevamo riavviare le macchine messe un po’ da parte, a riposo,
e ricominciare a stampare come si faceva un tempo, con la pressione
della stampa che si notava voltando pagina, quella pagina fresca
d’inchiostro che aveva bisogno dei suoi tempi per essere utilizzata.
Bisognava valorizzare tutte quelle “imperfezioni” di
un tempo! Questo era il pensiero di Elio, il visionario, sulla stampa
e sulla tipografia. Ma forse presi anche da mire commerciali, indietro
non ritornammo.
Viste però le sue reiterate insistenze, gli proposi di provarci
da solo: io gli avrei dato le macchine e le attrezzature (il suo
pensiero era quello di spostarsi al centro, in Piazza Caloprese,
al piano terra dove un tempo era ubicata la caserma dei carabinieri)
la supervisione e le garanzie che servivano per aprire.
Elio rimase perplesso perché mi avrebbe voluto in pianta
stabile accanto a lui, all’interno di quella che sarebbe stata
la nascente “Stamperia d’Arte”, e alla fine non
se e fece nulla.
Col senno del poi e con l’età di allora, oggi non avrei
dubbi nel dire un sì convinto a quella sua idea “rivoluzionaria”.
Ad Elio e alla sua proposta ho ripensato pochi giorni addietro,
leggendo su Sette Corriere della Sera un articolo, a firma di Francesca
Pini, dedicato all’antica tipografia della famiglia Tallone
di Alpigiano (paesino della cintura torinese), dove, oggi come mezzo
secolo fa, escono non più di quattro libri all’anno,
tutti rigorosamente composti a mano, alla velocità di 1.500
caratteri mobili all’ora. Per i nativi digitali qualcosa di
lontano anni luce!
«Ma oggi la tecnologia sta rincorrendo il libro cartaceo (un
oggetto del mito), e non l’opposto, Per chi si avvicina al
libro in modo utilitaristico ben vengano i supporti elettronici,
ma per quel 3 per cento che lo ritiene l’espressione della
civiltà, non c’è cosa più materialmente
spirituale di questa», dice Enrico Tallone che, insieme al
fratello Aldo (scomparso nel 1991), ereditò dal padre Alberto
la maestria dell’arte. «E ora il tablet flessibile altro
non fa che imitare la carta! Ma le parole che si vedono su questi
supporti sono sempre in affitto. La persistenza dell’arte
della tipografia consiste nella sua qualità assoluta. Infatti,
oggi, nel mondo non c’è un revival delle edizioni private
e dei libri d’artista». Entrare nella tipografia Tallone
e vedere Enrico, i tre figli e gli operai lavorare al bancone è
come valicare il confine tra passato e presente, ma anche tra civiltà
diverse: « La tipografia arredata con questi banconi ha qualcosa
di sacrale e di bello, siamo ancora nel pieno dell’Umanesimo»,
dice Tallone, «il tempo si è fermato solo nell’atmosfera
di questo ambiente».
Tornando alla nostra tipografia, la prima aperta a Scalea, mi piace
ricordare che fu mio nonno materno, Ferdinano Caselli, ad iniziare
l’attività in Largo Marina, nel Centro storico e, intorno
al 1930, a trasferirne la sede in via Tommaso Campanella, al piano
terra della palazzina con veranda che aveva costruito insieme alla
sorella Carmela, insegnante presso la statale scuola elementare.
Mio nonno aveva imparato il mestiere, giovanissimo, presso la “Prensa”
di San Paolo del Brasile, dove aveva lavorato come compositore-tipografo.
La sua attività fu proseguita da mio padre, Mario Manco,
da sempre affascinato dal giornalismo e dalla stampa, che diede
nuovo impulso all’attività, introducendo tantissime
innovazioni, peraltro condivise da mio nonno che ne apprezzava la
grande genialità, la fantasia, l’estrosità e
la modernità. Dopo qualche anno, infatti, nel 1947, mio padre
fondò il giornale “Diogene”, composto interamente
a mano e stampato con una rotativa manuale formato 50x70. Seguirono
altri lavori editoriali, come quello sulla “Torre di Giuda”
di Scalea (CS). dell’indimenticato Carmelo Giordanelli, e
vari opuscoli per Enti e privati. Nel 1969 si stampò il famoso
“Scalea prima e dopo”, del compianto Carmine Manco.
Al pregevole e ottimo lavoro editoriale presero parte, con grande
professionalità e impegno, due tra i più bravi e forse
mai superati collaboratori di mio padre: Elio Russo, che ne curò
la stesura, e Peppino Simonetti, responsabile della composizione
dei testi. Su questa scia, dopo altre interessanti uscite, nel 1977,
fu pubblicato il famoso “Scalea a Scalìa”, di
Mario Manco e Giuseppe Cupìdo (il libro più letto
e “copiato”, un vero record per Scalea con le sue 5
ristampe), mentre nel 1979, cambiata la direzione tecnica e sull’onda
del boom economico, l’interesse editoriale si spostò
verso le grandi tirature e i lavori commerciali.
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Stella Heidelberg
Linotype alfa
Pedalina Magnoni
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Nel 1990 vi fu la svolta e si ritornò ai
lavori editoriali e di grande arte. Fu allora che il suggerimento
di Elio si tramutò in fatti. La tipografia da “studio
tipografico”, previo grandi riconoscimenti nazionali e premi
in materiali tipografici, diventò “Stamperia d’Arte
Manco”. Questo fu possibile anche grazie all’incontro
con la dinamica e instancabile scrittrice lombarda Enrica Marelli,
che aprì nuovi orizzonti e nuovi palcoscenici librari. Ne
nacque un magico sodalizio che, nell’agosto del 1993sfociò
nella pubblicazione del “Giardino Mediterraneo”, il
libro di poesie di Enrica, che fu il primo di tanti grandi successi
editoriali della “premiata ditta” Marelli-Manco.
Nella terza di copertina, la signora brianzola, nativa di Monza,
fece scrivere: Questo libro è stato realizzato dalla “Stamperia
d’Arte Manco”, appositamente per Enrica Marelli in tiratura
limitata a 360 esemplari. Finito di stampare nel mese di agosto
1993 su carta Arcoprint avorio delle cartiere Fedrigoni con inchiostro
seppia composto da rosso, giallo, verde pantone, nero bavaria della
Huber. Composizione, impaginazione e finiture sono state realizzate
all’interno della stessa casa editrice con sistemi e tipi
di antica tradizione.
La collaborazione con la signora Marelli è continuata fino
al 2005. Furono anni frenetici e irripetibili, nel corso dei quali
si susseguirono, incessanti, tante importanti presentazioni di libri
con autori famosi, quali Marabini, Bevilacqua, Igor Man ed altri
illustri artisti di fama internazionale, come il pittore ligure
Zilioli. Enrica Marelli ha ricoperto il ruolo di Presidente del
“Centro Culturale Lavinium” e del “Premio Letterario
Internazionale Città di Scalea” fino al 2005. Dal 2007,
purtroppo, la sua grande e illuminante attività culturale
è andata via via riducendosi, per problemi di salute e di
età. È stata una grossa e grave perdita per Scalea,
per l’intera provincia di Cosenza e per l’Italia tutta.
Nel 1996, la “Stamperia d’Arte Manco” fu segnalata
alla nota scrittrice Irene De Laude Curto, nativa dell’astigiano
e residente a Torino, che volle realizzare un libro interamente
con sistemi e tecniche di antichissima tradizione. Nacque così
il suo volume di poesie “Come vestire la vita?”, un
lavoro accurato e di altissimo pregio, più o meno simile
a quello realizzato due anni prima dalla signora Marelli. Il prezioso
volume, correlato di doppia copertina, aveva, nella parte superiore,
una finestrella fustellata da dove si poteva ammirare una bellissima
illustrazione a colori: la quadricromia era stata realizzata tramite
l’ausilio di clichès in zinco dell’antica zincografia
di Cosenza “Gino Morrone” e raffigurava la poetessa
Ko Ògimi di Fujiwara Nobuzane - Rotolo da appendere - XIII
secolo. Il meticoloso, lungo e stupendo lavoro logicamente costò
molto di più di una normale edizione, ma ci diede la soddisfazione
di essere notato da altri autori piemontesi che, a loro volta, presero
contatti con la nostra azienda per realizzare lavori con le stesse
caratteristiche.
A partire dal 2006, anno in cui, dopo quasi un secolo di attività,
l’antica tipografia fu messa da parte, ci limitiamo a realizzare,
con i sistemi attuali, sporadici lavori di progettazione per “I
libri del Diogene”, per pochi eletti e soci, cercando di mantenere
sempre lo stesso stile di un tempo.
Le macchine e le attrezzature dell’ex “Stamperia d’Arte”
si trovano attualmente in stato di abbandono presso una sala del
“Museo del Bambino”, che doveva diventare un Museo della
Stampa. Il mio auspicio è che presto possano essere rimesse
in funzione e che a Scalea possa esserci nuovamente una stamperia
a mano, come quella della famiglia Tallone descritta sul Corriere
della Sera, che, oltretutto, potrebbe dare lavoro a tanti disoccupati,
soprattutto giovani, con la voglia e la passione di questo nobile
e antico mestiere.
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Nando Manco, direttore di "nuovo DIOGENE moderno", il giornale
di Scalea (CS), Periodico indipendente d'informazione e approfondimento.
www.diogeneilgiornalediscalea.it
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