Salvatore Giunta e Emanuele Rossini, due artisti, un’ identica
fascinazione: la materia e le sue molteplici potenzialità
formali, visive, spaziali.
Materiali poveri, come carta a mano, argilla, sabbia, ferro, legno,
servono a Salvatore Giunta per declinare un linguaggio astratto
e aniconico, fondato su elementi interni alla forma e al suo dinamismo.
Sulla scia di Klee e di Tobey, Emanuele Rossini predilige nelle
sue tele un’astrazione di tipo gestuale: attraverso composizioni
eterogenee di intrecci lineari, di mélange cromatici, di
vibrazioni luminose, la materia si fa metafora di ansie, di conflitti,
di fughe verso il soprasensibile.
Vicino all’estetica di Malevic e di Mondrian, Giunta propone
nelle sue sculture e nelle sue installazioni un’ astrazione
geometrica che ha una singolare caratteristica: i volumi si dispongono
in bilico, contrapponendosi, intersecandosi e scivolando verso uno
spazio infinito, ma poi, come avviene nelle contingenze della vita,
essi trovano rinnovati equilibri che, sfidando le leggi gravitazionali,
oppongono al disastro finale un’ inedita, lirica sospensione.
Nei lavori di assemblage artistico di Rossini, trame fitte di fili
di cotone, di smalti, di ferro, di grafite, propongono un’insolita
sinfonia plastica di forme e di toni. Un percorso visionario, il
suo, in cui la materia si modella in giardini segreti, in cristallizzazioni
luminescenti di resine reciclate, in segni e graffiti, in piccole
silhouettes umane che, trasportate dal turbinio degli elementi,
s’intravedono tra reticoli di fibre, anime prigioniere di
antiche paure esistenziali.