Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Rivista bimestrale-Anno III-Gen./feb. 2007, n.7
IL PIACERE DELL'ANTICO  

CAPOLAVORI SVELATI


Il Dio di Mozia
di Paolo Moreno







Per troppo tempo è sembrato che la scoperta nel 1979 della statua di un giovane a Mozia, colonia di Cartagine sulla punta occidentale della Sicilia, avesse procurato all'isola un enimma. Come era accaduto per i Bronzi di Riace, la bellezza del reperto denunciava le carenze della disciplina archeologica a fronte di un originale. Preoccupati di eludere il metodo filologico che richiede cultura figurativa e impegno di ricerca, molti teorizzano (proprio oggi che andiamo recuperando gli archetipi!) l'impossibilità di fare storia dell'arte antica. A fatica è stato riconosciuto lo stile severo nel marmo dal tono insolito: obliquità della gamba libera, ancheggiamento, glutei provocanti, sinuosità del busto, affondo della sinistra nella stoffa fino a premere il fianco (circa 460 a. C.). Nessun accordo sul significato e sull'origine del monumento: sottratto dai Cartaginesi a Selinunte come trofeo, ovvero nato dalla commissione per parte dei Punici ad un artista greco, come opportunamente osservava lo scopritore Giuseppe Falsone.
I sostenitori del soggetto ellenico hanno moltiplicato proposte che a vicenda si elidono: inaccettabile la definizione di “auriga” per un culturista che avrebbe sfondato col suo peso pure il cocchio di Ben Hur! Scherzi a parte, la sovrumana possanza non si concilia con la magrezza dell'Auriga di Delfi e la fragilità del suo carro (donario siceliota del 474), né con la levità delle quadrighe nella coeva ceramica attica. I perni ancora infissi, i fori di quelli perduti e altre tracce, mostrano che sul chitone di lino plissettato il protagonista indossava la spoglia di leone in bronzo (dorato?) che gli copriva anche il capo, come negli innumerevoli simulacri del dio Melqart, da Tiro fenicia, alla Sardegna e a Cadice. Con la destra alzava la clava dello “Smiting God” semitico e dell'Eracle cipriota.
La ricostruzione è confermata dall'anamorfosi prospettica praticata dallo scultore (confusa da qualcuno con imperizia arcaica), cioè dalle proporzioni alterate in funzione dello scorcio nelle guance, tempie e orecchie, destinate a rimanere seminascoste sotto il muso della fiera (P. Moreno, La bellezza classica , 2a ed., Allemandi, Torino 2003, p. 110-111, fig.99-109).
Le abrasioni dalle ginocchia al viso fanno intendere che la statua, abbattuta dai Siracusani nella conquista del 397, venne forzata prona sul terreno. Gli scassi sul dorso sono i punti dove i saccheggiatori fecero leva per strappare il bronzo: nel 146 i Romani asportarono “con le spade” il rivestimento aureo dell'Apollo di Cartagine (Appiano, Libica , 127). I Punici ammantavano di metallo pregiato gl'idoli che dalla macchinazione polimaterica assumevano magica vitalità: come le statue “vestite” dell'odierna superstizione cattolica, et pour cause dalla penisola iberica alla Sicilia.


Paolo Moreno - cattedra di Archeologia e storia dell'arte greca e romana - Facoltà di Lettere e Filosofia, Università Roma Tre ( www.paolomoreno.com)

 





Statua di Eracle Melqart (part.) circa 460 a.C.






Statua di Eracle Melqart, marmo. Trovata in località Cappiddazzu, a breve distanza dal tempio del dio. Mozia, Museo Whitaker. (Foto Giuseppe Cappellani, Palermo )






(in alto, sinistra) Grafico integrativo dell’Eracle Melqart di Mozia. Restituzione di Paolo Moreno, disegno di Tommaso Semeraro

(in basso, sinistra) Statuetta di Eracle Cipriota, calcare. Da Idalio, Cipro. Parigi, Musée du Louvre




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