
Stele di Pancare, figlio di Leocare, marmo pentelico, 338 a. C., alta tre metri. Pireo, Museo Archeologico (Nikoláos Stournáras, Athína)
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Stele di Mnasone, calcare graffito e dipinto, 400 a. C. circa. Tebe, Museo Archeologico (Ekdotikí Athinón, Athína)
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Il memoriale di un caduto ateniese nella vana battaglia per la libertà delle città greche, onora al contempo tra i vincitori il principe di Macedonia: al comando della cavalleria, Alessandro era intervenuto con audace iniziativa dall'ala sinistra sul campo di Cheronea (338 a. C.). Dopo la strage, Filippo cercò l'intesa con Atene, incaricando il figlio di portare alla città le ceneri dei mille rimasti sul terreno. Tra questi, recita l'iscrizione: “Pancare (figlio) di Leocare”. Non si comprende quale privato, se non il celebre scultore Leocare (nulla infatti è aggiunto al nome), potesse disporre, nella disastrosa congiuntura, del monolito che oggi domina il Museo del Pireo: la più alta stele che si conosca, splendidamente lavorata nella lékythos (vaso per unguenti, ingigantito quale simbolo funerario) del registro inferiore, e nelle rosette originariamente dorate. Il protagonista del rilievo bellico reca corazza anatomica ed elmo frigio: col piede su un rialzo, abitava un paesaggio (svanito col colore che lo completava), simile a quello scolpito sul monumento ai caduti della guerra del Peloponneso, affiorato negli scavi per la Metro di Atene, o graffito su una stele a Tebe. Alessandro irrompe a testa scoperta: il diadema tubolare, che trattiene l'inconfondibile chioma leonina, è come quello trovato nella tomba del padre a Ege, antica capitale della Macedonia. La nudità del giovane travolto da Bucefalo, promuove all'eroico la progenie dell'aristocrazia tebana: i trecento del “battaglione sacro” che si erano sacrificati nella loro strenua saldezza alla carica di Alessandro e dei Tèssali. |

Rilievo con lo scontro di Ateniesi e Tebani a Tanagra (426 a. C.), stele commemorativa dei caduti in diversi episodi della guerra del Peloponneso, marmo pentelico. Da Via Paleologo, presso l’antico sepolcreto pubblico. Atene, Museo Nazionale Epigrafico (Kapon Editions, Athens) |
Pancare, Alessandro e un giovane tebano alla battaglia di Cheronea, dettaglio della stele di Pancare. Pireo, Museo Archeologico (Nikolaos Stournaras, Atene)
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In espiazione, Filippo avrebbe dedicato nel santuario della vicina Tespie l’Eros di Lisippo, che saggia la flessibilità dell’arco. Un giuramento al dio impegnava ciascuno degli efebi con un altro dei compagni a non lasciare il campo finché l’amato fosse in pericolo: se mai a vendicarne la morte. Sul marmo del Pireo i tre esponenti riassumono la tattica della giornata: annientato lo hieròs lóchos, Alessandro si volge al centro dello schieramento ellenico sconvolto dal successo di Filippo sulla propria destra. Mentre molti - tra cui Demostene, fautore della guerra - si sottraevano all’aggiramento con la fuga, Leocare attesta che il figlio Pancare (piantato al fondo della scena nelle proporzioni dell’alleato morente in primo piano) fu tra coloro che si fermarono a contrastare l’avversario soverchiante: senza speranza, se non di giovare allo scampo dei superstiti.
Un episodio riferito a Leocare nell’Amazzonomachia dal Mausoleo di Alicarnasso, rinnova il nesso tra il combattente in guardia e il nudo prostrato. Iniziata intorno al 355, la decorazione del sepolcro si protrasse dopo la morte del satrapo per concludersi col passaggio di Alessandro (334-333): la carriera dell’artista esalta il mutamento dalla ragione del fregio storico all’avvampante lotta della saga asiana.
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Dettaglio del fregio con Amazzonomachia, dal Mausoleo di Alicarnasso, marmo, lastra XVI, attribuita a Leocare, 333 a. C. circa. Londra, British Museum. Calco in gesso, Roma, Università La Sapienza, Museo dell'Arte classica (Paolo Moreno)
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Paolo Moreno, “Alessandro Magno, Immagini come storia”, Roma 2004, Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, p. 91-102, fig. 129-151. Il collegamento tra Cheronea e il bronzo di Lisippo a Tespie: Ersilia Lopes, “Cheronea, Eros oltre la morte”, in “La parola del Passato”, 2002, n. 326, p. 372-384. |
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