Madonna delle nuvole, marmo di Carrara, opera di Donatello, 1425-1430. Boston, Museum of Fine Arts (foto Museo).
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Compianto materno, stele, marmo di Paro, 420-410 a. C., dalla necropoli di Pidna (Macedonia). Dion, Museo (foto Kostís Toutouvtzídis, Thessaloníki)
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Reiterate interpretazioni musicali assicurano perennità al latino di Iacopone da Todi nel dramma della redenzione: lo Stabat Mater di Giovanni Battista Pergolesi (1736) è stato eseguito il 22 ottobre del corrente anno in Roma all'Auditorium di Santa Cecilia; quello di Gioacchino Rossini (1841) il 24 agosto sulla piazza di Anagni, dove Tullia Daniele ha recitato magistralmente il Pianto della Madonna. È questo l'altro versante della poesia di Iacopone, all'origine della nostra letteratura: dal Duecento, la lingua che oggi unisce l'Italia, si affermava in Umbria con le “laudi”.
A monte della liturgia cristiana, i sentimenti dell'umano e del divino, della maternità e della morte, erano nella passione di Iside egizia e nella contemplazione degli artisti classici. Le stele delle necropoli elleniche rivelano
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Gallo e iscrizione Karystíon, “dei cittadini di Caristo” (nell’isola di Eubea), didramma, argento, 300 a. C. circa: il gallo era emblema di Kárystos, quale “araldo” ( kéryx) del giorno, káryx nell’area commerciale di dialetto dorico. Lisbona, Museu Calouste Gulbenkian (foto Reinaldo S. Viegen, Lisboa)
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l'improvvisa attualità del dolore, l'abbraccio al bambino perduto, il lutto inaccettabile se non confortato da una fede.
Nella materna elegia di una stele da Pidna la concomitanza del sapere prospettico con il supremo trattamento del marmo di Paro, fa pensare a un artefice venuto dalle Cicladi, dove l'estrazione del pregiato materiale qualificava maestri itineranti di formazione ionica: il taglio sprigiona il lume dei grandi cristalli, dalla tecnica dello schiacciato all'altorilievo, in una gamma virtuosistica non raggiunta da Donatello o Desiderio di Settignano, ai quali pur dobbiamo immagini comparabili della Mater dolorosa.
Nel nostro caso il disegno si aggiorna allo “stile ricco” inaugurato da Fidia verso il 420 a.C. a Olimpia. Il primo piano è tenuto dalla sola figura del gallo, mentre i personaggi intrecciano i moti affettuosi nel fondo: tale la distanza sondata dallo scalpello entro il tenue spessore del rilievo, dalla mano del bimbo che stringe un pane, al busto della donna di tre quarti, agli arti che assommano madre e figlio in un ritmo solenne. L'effetto piramidale è accresciuto dalla scelta di un punto di vista ribassato. Nel suppedaneo la fuga prospettica è discendente sia sulla fronte che sul lato: l'orizzonte dell'artefice correva lungo il bordo inferiore del riquadro, implicando una collocazione della lastra così alta che l'occhio del riguardante fosse a quel livello. La mano cui si abbandona il viso reclinato, ha il palmo visibile da sotto in su: le lacrime si fermavano sul dorso delle dita.
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Traspaiono i risultati di un'azione precedente e i segnali del futuro. La donna ha preso il pargolo in grembo con tanta veemenza da stringere ancora al petto un risvolto disordinato della propria veste. A sua volta il bambino, sorpreso dall'amplesso, espone involontariamente al gallo il boccone che teneva per sé nella destra. Di qui l'attesa del casuale divenire (riuscirà il gallo a beccare il cibo?), sintomo dell'alta sospensione di un destino.
In Magna Grecia, sulle tavolette di Locri, il gallo sta presso il trono della regina d'oltretomba. Simbolo di risveglio, accompagna la rara versione di Dioniso garante del trapasso agli Ínferi. Busti di terracotta, prodotti in Beozia, mostrano il dio che tiene con la destra l'uovo, origine del cosmo secondo la teoria accreditata a Orfeo, e con la sinistra il gallo, araldo del Sole.
Nella visione di Pidna, l'“uccello domestico” per eccellenza (Eschilo,
Eumenidi , 866) diventa speranza di un'arcana luce. |

Persefone e Ade, rilievo votivo, terracotta, 470-460 a. C., da Locri. Reggio Calabria, Museo Regionale (foto Editrice Effe, Genova)
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Busto di Dioniso con l’uovo e il gallo, terracotta, 350 a. C. circa. Da Tanagra (Beozia). Londra, British Museum (foto Museo)
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