Mazara del Vallo (TP). Museo del Satiro Danzante
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La notte del 4 marzo 1998 a Mazara del Vallo nel canale di Sicilia il peschereccio “Capitan Ciccio” non riusciva a tirare a bordo la rete da pesca che risultava più pesante del solito e certamente il suo capitano mai avrebbe immaginato di ricevere in quel giorno una delle sorprese più straordinarie della sua vita! Impigliata nella rete, infatti, egli vide una statua, mancante di alcune parti del corpo (1), ricoperta di incrostazioni marine ma che faceva supporre si trattasse di un antico reperto affondato in tempi remoti assieme alla nave che lo trasportava. Da allora la vicenda è nota: il trasporto dell’opera a Roma presso l’Istituto Centrale del Restauro per essere sottoposta a un intervento durato 5 anni che ha restituito all’Italia e al mondo uno dei capolavori ripescati nelle acque del Mediterraneo. Mi riferisco al Satiro danzante, una scultura fusa in bronzo, alta 2.5 metri, che dal 2003, una volta concluso il restauro, è stata riportata nella regione che l’ha conservata in mare per più di 2000 anni. Da allora i più autorevoli archeologi e storici dell’arte hanno cercato di scoprire la sua paternità attribuendole anche una possibile datazione. |

Il Satiro Danzante. Sculltura bronzea, originale greco (IV/II sec. a. C. ) |
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Secondo il compianto prof. Paolo Moreno, che ha dedicato all’opera un interessante studio critico, l’autore potrebbe essere Prassitele, anche per quanto citato da Plinio il Vecchio in Historia Naturalis, il quale nomina un satiro scolpito dallo scultore ateniese, definendolo “peribòetos”, ovvero invasato, con il tipico atteggiamento dei componenti del corteo orgiastico del dio Dioniso. Per il prof. Paolo Moreno esso poteva far parte di un gruppo con altre statue sempre riferibili a Prassitele e databili al IV secolo a. C. , anche grazie ai confronti con opere certe dello scultore. Di parere diverso Antonino Di Vita, archeologo e accademico, anche lui scomparso, che ritiene il bronzo ascrivibile all’età ellenistica (III-II sec. a.C.) per motivi stilistici, o addirittura ai primi anni dell’Impero romano; inoltre secondo lo studioso siciliano la scultura sarebbe stata creata per essere ancorata alla poppa di una nave, come dimostrerebbero i tre fori presenti sul piede sinistro. |

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L'opera, benchè mutila delle braccia e della gamba destra, dopo il restauro si presenta in discrete condizioni; realizzata in 4 parti, è stata fusa in bronzo con una tecnica eccellente se si considera che il getto è di soli 6 mm. di spessore! Il lavoro di restauro è stato lungo e delicato; dopo la consueta campagna di indagini preliminari gli interventi sono consistiti soprattutto nella eliminazione dei prodotti delle incrostazioni biologiche e della corrosione; tuttavia si è cercato di utilizzare il meno possibile prodotti chimici per non indebolirne la struttura bronzea. Sono stati perciò usati microscalpelli, bisturi, microincisori e oblatori a ultrasuoni, con un trattamento finale di consolidamento mediante l'impiego di PARALOID 872, una resina acrilica molto usata per i metalli e per la pietra, che è stabile alla luce e non manifesta alterazioni cromatiche.
Se si confronta il Satiro danzante con le pochissime opere originali greche dello stesso soggetto (per lo più si tratta, però, di bassorilievi e pitture sul vasellame) riferibili al IV secolo a,C., come la Menade di Skopas, si possono notare alcune differenze. |
Una bella prospettiva della danza sfrenata del Satiro |
La Menade di Skopas, anch'essa come il Satiro una danzatrice del corteo di Dioniso, è una scultura animata da un chiaro senso dinamico: il corpo ha una torsione spiraliforme che inizia dalle gambe divaricate, si accentua nel busto per concludersi nella testa girata e reclinata all'indietro, da cui flusce liberamente la chioma in un gesto di sfinimento e di estenuazione, tipico delle fanciulle che partecipavano alle cerimonie dionisiache.
Il Satiro, invece, è come librato in volo e conquista prepotentemente lo spazio circostante: il volto ebbro con le labbra semiaperte appare invasato dal ritmo della danza, gli occhi, di calcare alabastrino, hanno uno sguardo magnetico, le braccia sono aperte come a conquistare l'aria e nell'enfasi del momento anche i capelli vengono mossi dal vento. Rispetto al pathos in potenza della Menade il Satiro, a mio avviso, rivela una maggiore capacità interpretativa che tralascia in parte la classica armonia prassitelica per aderire a un'emozione travolgente quanto empatica. In realtà visitando la scultura, conservata a Mazara del Vallo nella Chiesa sconsacrata di Sant'Egidio divenuta Museo, si è coinvolti dall'impetuosa sensazione di libertà e di passione che l'opera comunica e si è spinti a considerarla un "essere" vivente, capace di sprigionare una grande energia fisica e psicologica. Chiunque sia l'autore, egli è riuscito a sintetizzare con estrema maestria un senso di estasi panica attraverso una scultura stupefacente che ancora una volta testimonia la grandezza di una Civiltà da cui noi stessi proveniamo.
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Menade Danzante, Skopas, 330 sec. a. C.; 45 cm. copia in marmo. Staatliche Kunstsammlungen Dresden. |
Nota (1) Otto mesi prima del ritrovamento della scultura, lo stesso peschereccio Capitan Ciccio aveva ripescato una gamba di bronzo in un tratto di mare non lontano, a cui però pochi avevano dato importanza!
Si ringrazia il Museo del Satiro di Mazara del Vallo per l'accoglienza, la gentilezza del personale e per la disponibiltà dimostrata nella realizzazione del servizio fotografico.
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Bruna Condoleo, storica dell'arte, curatrice di mostre e di cataloghi d'arte
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