"Mistero inquietante e saporoso di splendore barbarico, di liturgia cattolica, di sogni induisti, di fantasia gotica, di simbolismo oscuro e sottile" (Octave Mirbeau, critico d'arte e drammaturgo): così è stata definita l'arte di Paul Gauguin
(Parigi 1848 - Isole Marchesi 1903), da sempre immagine dell'artista ribelle che fugge dall'opprimente civiltà del benessere e dalla banalità quotidiana alla ricerca di un eden originario ove ritrovare se stesso e le ragioni profonde dell'esistenza. In un paradiso permeato di slanci ingenui e voluttuosi e d'incontaminata purezza, scoperto dal Pittore francese nella lontana Polinesia e nelle Isole Marchesi, non potevano mancare i cavalli, liberi, indomati, dalle forme solenni, in stretta simbiosi con gli elementi della natura lussureggiante di un mondo primitivo, ritratti da Gauguin mentre si abbeverano a cristallini ruscelli, si lasciano tranquillamente cavalcare da nudi indigeni oppure galoppano verso un mondo sconosciuto, simboli della morte. Dalla celeberrima tela "Cavallo bianco" Gauguin inizia a creare una serie di quadri, dipinti negli ultimi anni della vita, incentrata sul tema dell'uomo e del cavallo, introdotto in Polinesia dagli Spagnoli nel XVI secolo e ancora raro a Tahiti alla fine dell'800.
|
Paul Gauguin, cavallo bianco, olio su tela, 1898, © Musée d'Orsay, Paris. |
Un cavallo bianco in primo piano si disseta a un ruscello tra i fitti alberi tahitiani (bourao) che si spingono fino all'acqua, mentre uomini nudi fanno evoluzioni su cavalli dagli improbabili colori: anche il più europeo degli animali sembra essersi fuso con l'intatta natura di quei luoghi favolosi per divenire un "indigeno" dei Mari del Sud! Siano cavalli rossi, accesi dalla saturazione del colore, immersi in silenzi filtrati, sintetizzati dai raffinati arabeschi lineari o siano cavalli grigi e neri, cui la musicalità delle tinte regala autonomia espressiva, tutti rivelano il simbolismo dell'immagine che ne accentua il fascino misterioso. C'è poi il cavallo bianco, probabilmente legato alle credenze degli abitanti del posto che lo ritengono il trasportatore delle anime nell'altro mondo, poichè il colore bianco in Polinesia è legato alla morte e al culto delle divinità. Una curiosità: questa tela bellissima e magica commissionata da un farmacista di Tahiti, fu da questi rifiutata perchè il commitente ritenne non veritiere le sfumature di colore verde sul cavallo!
Dopo qualche anno In " Cavalieri sulla spiaggia " (Essen, 1902) di nuovo Gauguin dipinge fra destrieri scuri cavalcati da indigeni, due cavalli bianchi montati da figure incappucciate e inquietanti, come spesso accade nell'opera del grande Pittore: è l'immagine tradizionale della morte, rappresentata su di un cavallo e nota anche all'Occidente fin dal '500 (ricordiamo le celebri incisioni di Albrecht Dürer), assimilabile al demone polinesiano, il Tupapau, ovvero lo spirito dei morti che conduce giovani ignari del proprio destino nel l'oltretomba. Simbolo delle irrisolte problematiche dell'Artista, in quegli anni anche infermo, e dei suoi interrogativi sul mistero dell'esistere, cavalli e cavalieri furono un tema reiterato nell'ultimo periodo vissuto nelle Isole Marchesi ad Atuona, luogo popolato da molti cavalli.
|
Paul Gauguin - Cavaliers sur la plage, olio su tela, 1902, © Essen, Folkwang Museum |
Tuttavia quando nel 1902, a un anno dalla morte, il Pittore dipinse un altro “Cavalieri sulla spiaggia” , secondo molti critici la scena evocherebbe, nella composizione e nella posizione dei cavalli, una famosa tela dipinta 30 anni prima da Edgar Degas con tema le gare ippiche a Longchamp, quasi che la cultura europea da cui Gauguin aveva voluto fuggire, ritenuta conformista e ambigua, si riproponesse alla fine della vita sovrapponendosi con prepotenza al mondo indigeno da lui amato. Anche la natura esotica che il Pittore esalta con vibrante colorismo non è qui quella reale, montagnosa e scura dell’isola di Hivaoa, ma una spiaggia sognata di corallo rosa, con pochi alberi sottili e un mare verde-azzurro, un luogo onirico, frutto della sua fervida immaginazione. Nella tela uomini indigeni montano cavalli bai, mentre le figure incappucciate su destrieri bianchi simboleggiano la morte: tuttavia, a differenza di altre immagini minacciose di Tupapau, qui sono sono ricoperte da mantelli dai caldi colori e i loro volti sembrano sereni, quasi a svelare un momento di tranquillità duramente conquistato da Gauguin, ormai prossimo alla fine.
|
Paul Gauguin, Cavalieri sulla spiaggia, olio su tela, 1902, Collection privata. © Grecia
|
Una crisi cardiaca lo spegnerà, infatti, soltanto un anno dopo, l’8 maggio 1903: sulla sua tomba ad Atuona, così come egli aveva disposto fin d’allora, è stato in seguito posto un “Oviri”, una statuetta di selvaggio, creatura magica e inquietante, custode silenzioso di quella genuina primitività da lui tanto agognata. Non avventuriero errabondo né pittore dell’esotismo alla moda fu Paul Gauguin, ma artista autentico, attratto dall’ignoto, che riflette angosciosamente sulla vita e sul suo significato e ha saputo intuire le ragioni sommesse dell’animo. Portando con sé una malinconia senza disperazione egli ha prodotto “un’opera dolorosa, perché per capirla, per avvertirne un urto bisogna aver provato il dolore e l’ironia del dolore, che è la porta del mistero….” (O. Mirbeau).
|
Bruna Condoleo, storica dell'arte, giornalista, curatrice di mostre e di cataloghi d'arte
|
|