Autorizzazione Tribunale di Roma n. 378 del 30/09/2005
 
Work in progress - Anno XVII - n.73 - Ottobre - dicembre 2022
IL COSTUME NEI SECOLI  

DISSERTAZIONI SULLA MODA


Antichi e moderni tatuaggi: una moda che resiste!

di Bruna Condoleo



In italia 7 milioni di persone sono tatuate e il settore produce un indotto superiore al mezzo miliardo di euro! Una moda proficua, dunque, e ben radicata, ma il 4 gennaio 2022 un provvedimento europeo restrittivo ha creato un gran subbuglio: la UE ha approvato un nuovo regolamento che vieta i pigmenti utilizzati nell’inchiostro colorato per i tatuaggi che contengono isopropanolo, una sostanza che può procurare effetti cancerogeni o gravi allergie. Si tratta dei pigmenti green 7 e blue 15, ma anche giallo, arancione e rosso sono  colori incriminati, mentre bianco e nero restano utilizzabili a volontà. Il prodotto per i tatuaggi, inoltre, dovrà essere descritto dettagliatamente nei suoi componenti, nella durata e nella scadenza: dunque tempi duri per i tatuatori e per gli amanti delle decorazioni corporee!! Una moda, quella dei tatuaggi, che vogliamo indagare per capire di più su questo gusto che imperversa da una ventina di anni. 
E’ concordemente riconosciuto da sociologi e da antropologi che l’uomo preferisca “vestire” il proprio corpo per il piacere di personalizzare il sé, infatti la moda del nudo integrale ha sempre trovato difficoltà ad istituzionalizzarsi e non ha avuto finora che pochi adepti!
Diversamente dagli animali, che posseggono come dote naturale gli elementi di differenziazione e di attrazione, l’uomo ricerca con l’ abbigliamento  e con le decorazioni corporee il mezzo con cui esprimere di volta in volta la potenza, la forza, il divino...
In tempi remotissimi (si parla anche di 5000 anni fa!) molti popoli abbigliavano i corpi maschili per motivi legati prevalentemente alla sfera magica e rituale: fantasiosi copricapo per gli sciamani, maschere e piume per i sovrani, decorazioni aggiunte agli organi sessuali come potente richiamo erotico. Ancora oggi presso le tribù della Nuova Guinea, a Zombandoga, è in uso l’astuccio penico, un lungo tubo di canna che fascia vistosamente gli organi genitali maschili con lo scopo di esaltare la virilità e la capacità di attrazione del maschio. L’uso dei tatuaggi e le mutilazioni rituali, praticati fin dall’antichità, hanno costituito innanzi tutto un modo per  accentuare una specifica funzione sociale o religiosa in seno al villaggio o alla tribù di appartenenza. Un'affascinante scultura maya datata intorno al Mille, detta “La regina di Uxmal” e facente parte del tempio omonimo nello Jucatan, presenta un volto ornato da tatuaggi, oltre che da un fastoso copricapo, che denota l’importanza ieratica della figura, come accade al giovane sacerdote huasteco (1000/1200 d. C.), che regge sulle spalle un bimbo simbolo del dio sole e ha il corpo mirabilmente tatuato con motivi di fiori, spighe di mais e geroglifici maya, da fare invidia al più valente tatuatore contemporaneo!
Mentre alcune deformazioni del corpo, come l’infibulazione e la circoncisione, prescindono ovviamente da ogni funzione estetica, la perforazione delle guance, i tatuaggi e le deformazioni corporee in uso presso i popoli cosiddetti “selvaggi” possono invece rientrare nell’ambito del fenomeno “moda”, proprio perché includono anche un elemento estetico e di “piacevolezza” esteriore che caratterizza un popolo e i suoi costumi. E’ errato, tuttavia, pensare che queste consuetudini siano un appannaggio del mondo primitivo: senza dover andare troppo lontano dal nostro tempo, ricordiamo che la moda dei rigidi bustini ottocenteschi a lungo andare deformava il corpo femminile, alterandone la naturale anatomia, senza che ciò creasse disagi o rifiuti!
Le labbra a piattello, usate da alcune tribù africane, come la deformazione dei lobi delle orecchie, da cui si fanno pendere pesanti monili, finanche i piedi deformati delle donne cinesi, sono mode che  ubbidiscono anche a un’esigenza estetica, ovvero rappresentano una scelta dettata dal valore che ciascun popolo assegna a un concetto condiviso di bellezza.
Il tatuaggio del XXI secolo, il body piercing, i tatoo, le marchiature a fuoco e così via, che hanno invaso le strade, le scuole, gli uffici e testimoniano un fenomeno di costume diffuso, a volte osteggiato, più che a una valenza estetica sembrano collegarsi a un desiderio di decorare il corpo affinchè esso significhi qualcosa e trasmetta un messaggio non verbale. Nel dipingere braccia e gambe, colli, schiene e glutei attraverso modificazioni che si pensa dover essere permanenti, si crede di poter  “comunicare” agli altri un po’ del proprio mondo tramite un personale linguaggio di segni. Il moderno tatuaggio nasce spesso dal bisogno di esprimere la centralità del corpo e affermare la libertà di mutarlo secondo i propri desideri; inoltre il leggero dolore che si accompagna alla realizzazione dei tatuaggi viene percepito come una sorta di riaffermazione dell’esistenza fisica del proprio essere, metafora di una consapevolezza di sé, ancorché in gran parte materiale.
La pelle, per coloro che amano tatuarsi, equivale a una tela su cui dipingere immagini che raccontano trame interiori e/o desideri; essa diviene un muro bianco su cui tracciare graffiti colorati che esprimano paure o sogni. La necessità di lasciare incisi sulla pelle segni indelebili significa valorizzare ciò che, se nudo, appare privo di significati!
La società delle immagini, quella in cui viviamo, ha talmente condizionato la nostra vita e il comune modo di pensare e di rapportarsi con gli altri che l’immagine è divenuta una necessità e un nuovo horror vacui spinge molti a coprirsi di “abiti” permanenti, fantasiosi e colorati, capaci di stupire, a volte anche di scandalizzare.
Come tutte le mode, anche questa dei tatuaggi, così antica e incredibilmente ancora viva, ha dunque sue motivazioni profonde, ma come tutte le mode anch’essa forse è destinata a scomparire!

 





Nuova Guinea: astuccio penico




Sacerdote huasteco, 1200 d.C




La regina di Uxmal, scultura Maya,
attorno anno Mille





Etnia Mursi, Etiopia dell'Omo
(foto Giulio Berruti)